STRUMENTI CULTURALI

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Rifilalengua (Scioglilingua)

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Primo Autore:
Leopoldo Minola
Secondo Autore:
 
Titolo:
Rifilalengua (Scioglilingua)
Testo Completo:
RIFILALENGUA
Scioglilingua

“Rifilalengua” o “sladinalengua” sono i due termini equipollenti che stanno a giustificare il giochetto o bisticcio di parole dialettali che proponiamo. Certo la lingua ha necessità di essere ben “sladinàa” e pur anche “rifilàa” per speditezza e colorito alla pronuncia del nostro dialetto e renderlo più gradevole e civettuolo all’ascolto. Dialetto che, diciamolo tra noi sommessamente per modestia, è bello e vivace.
Sì! Si potrà talvolta riscontrare qualche asprezza, il susseguirsi di tante parole tronche, una certa abbondanza di elisioni, ma sono quisquilie che non intaccano il complesso della parlata che è – parola di stresiano (tipografo! Stampa sfumato, per favore!) – bella, raddolcita da molte vocali lunghe e ingentilita da un buon uso di molti graziosi diminutivi, dei quali facciamo qui seguire un piccolo elenco, senza la corrispondente traduzione, per non togliere ai lettori il gusto della ricerca:

barlascìn
cadreghìn
graminìn
paciughìn
pizzighìn
sciavrulìn
sparlùscìn
tinajn
birulìn
ciuchìn
nagutìn
panitìn
scartuzzìn
slizzighìn
timilìn
zifulìn


Una sottolineatura al vocabolo “nagutìn”, il compenso misterioso e prezioso che si prometteva ai bambini di un tempo, qualora il loro comportamento fosse stato irreprensibile e degno di lode:

“Un nagutìn d’òor, faj su in t’una foja da zanivul”
“Un nonnulla in oro, confezionato in una foglia di ginepro”1

Una bella fantasia da parte degli adulti, con una generosità adeguata ai tempi; tanta credulità, almeno da parte dei più piccolini, per i quali sempre la parola “òor” era avvolta in un alone di magia, di rispetto e di mistero. Infatti, mentre il massimo del patrimonio di preziosi cui poteva aspirare la maggioranza delle donne era, oltre alla fede nuziale, una esile catenina e una medaglietta con la Madonna, conservate con autentico e religioso riguardo, ai ragazzini era lasciato correntemente intendere che il Pane d’oro era quotidianamente servito agli Eletti in Paradiso. Del companatico non si avevano notizie, delle bevande neppure. Così riaffioravano poi i primi interrogativi: ”Che cos’è? Dove si trova veramente il nagutìn d’òor?” e successivamente le prime disillusioni della vita!
Ritorniamo adesso al nostro “sladinàa”, sinonimo di agilità, di scorrevolezza, di prontezza di risposta alle sollecitazioni, mentre “rifilàa” dà l’idea della forbitezza e della concisione. Non confondiamo con il termine “mulà”, che evoca immediatamente la figura dell’arrotino. E trattandosi di lingua…!
“Lengua che la taja al fèer” era un poco cortese epiteto rivolto, sovente ingiustamente, alle donne. La dose era poi rincarata da espressioni dispregiative come “lengua serpentina” o “lengua sacrilega” a sottolineare una loquacità troppo vivace o un tantino di pettegolezzo.
La loquacità troppo vivace, e il fatto di avere una lingua decisamente bene “sladinàa” e “rifilàa” giocò un brutto tiro – si raccontava una volta – a una stresiana il cui marito infuriato, stressato, quasi fuori di senno per le continue contumelie della moglie sempre inviperita, dapprima gliele suonò con una certa energia e poi la calò nel pozzo. L’acqua per fortuna non era molto profonda, ma la donna non si arrese e, non potendo più parlare per non bere troppo, faceva le corna al marito con le mani. Così la trovarono i soccorritori che la posero in salvo fuori dal pozzo.
La donna non aprì bocca ma, afferrato il primo e robusto oggetto che ebbe a portata di mano, diede al marito una tremenda botta in testa che, per poco, non lo spedì difilato alla “Gésa Végia”, nome che, tradotto in termine moderno, significa Campo santo. In quel luogo sorgeva un tempo la prima chiesa della comunità stresiana.
La coppia si riappacificò; moglie silenziosa, marito tranquillo, convivenza serena; ma fu coniato un altro detto:

“La lengua la g’ha mia j òss ma j a fa rumpa!”

RIFILALENGUA



G’ho chì un gipìn tùt a tòc,
l’ha perdù tùčč i tic-tàc,
po’ g’ho faj dèent anche un sèt
e chì dadré l’è tùt rùt!
Anche a rimètig un tòc,
po’, guà tacàag i tic-tàc,
guà tiràa déent tùt al sèt,
ma pò ‘l sarà sémpar rùt!
Pensa e ripensa su un tòc…
l’ho tajà tùt a tuchìtt!
’dèss g’ho un gipìn senza sèt,
senza tic-tàc né tic-tìc!


SCIOGLILINGUA

Ho qui un giubbettino tutto a pezzi,
ha perso tutti i bottoni a pressione,
poi gli ho fatto anche uno strappo
e qui dietro è tutto rotto!
Anche a rimettergliene un pezzo,
poi bisogna attaccare i bottoni a pressione,
bisogna ricucire lo strappo,
ma poi sarà sempre rotto!
Pensa e ripensa per un po’…
l’ho tagliato tutto a pezzettini!
Adesso ho un giubbettino senza strappo,
senza bottoni a pressione nè bottoncini!




1 Altrove, in giro per il lago, «un nagutìn d’òr faj sù in d’una foeuja de figh»… a dir che era ravvolto in una foglia che più vile e di nessun impiego (a differenza del frutto) non ve ne erano; e ancora, comune nel lombardo, secondo il Cherubini (Vocabolario), “on bell nagotin d’or”, cui «spesso si aggiunge ligaa in argent o cont el manegh d’argent»: insomma, un nulla d’oro retto da un manico d’argento.
A Cura di:
   [Isa Minola]

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