STRUMENTI CULTURALI

del Magazzeno Storico Verbanese

La Croce del Verbano

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Primo Autore:
Francesco Dall`Ongaro
Secondo Autore:
 
Titolo:
La Croce del Verbano
Testo Completo:
La Croce del Verbano

Narro una storia atroce,
Un infelice error,
Che del Verban la foce
Empie di orrore ancor

Signor di tre castella
Visse un baron costì,
Che a donna onesta e bella
Innanzi a Dio s’unì.

N’ebbe un figliuol diletto
Che più felice il fé,
Ma per un reo sospetto
Entrambi li perde.

Nessun mai seppe come
Quel dubbio in cor gli entrò
Nessuno intese il nome
Dell’uom che lo destò.

Forse una bassa invidia,
Forse un deluso amor
Ordì l`atroce insidia
Che avvelenò quel cor.

E senza udir consiglio,
Ingiusto ad altri e a sé,
Credè bastardo il figlio
La madre rea credè.

Legge d’onor tiranna
Gli tolse il senso uman:
Ambi a perir li danna
Tra i flutti del Verban.

Spenta in quel cieco fondo
Fin la memoria andrà:
Saprà la pena il mondo,
La colpa non saprà.

Di sua masnada abbietta
Chiama il più crudo a sé,
E della rea vendetta
A lui l`incarco diè.

II

Fra il cerchio temuto d`acuta scogliera
Li spinge, e li lascia l’atroce scheran.
S’inalza, s’avvalla la cimba leggera,
Ludibrio al furore d’orrendo uragan.

La madre sul petto si preme l’infante,
Non vede d’intorno che pelago e ciel:
Ma in cima a una torre v’è un occhio fiammante
Che mira il suo fato con gioia crudel.

Imelda non pensa che il crudo signore
Col figlio innocente la danni a perir:
La crede una prova, lo spera un errore,
Un breve cimento che sta per finir.

Per quanto ripensi la corsa sua vita,
Di colpa sì grave rimorso non ha:
Se l`uomo spietato le nega un’aita,
Dal cielo più giusto s’attende pietà.

Ma intanto al suo sguardo nessuno s’affaccia,
Né porto, né schermo d’innanzi le appar:
Un’onda la spinge, un’altra la scaccia
Fra i gorghi spumanti del livido mar.

Già l’acqua soverchia la cimba natante;
La fragil carena cedendo già va;
La morte s’appressa d’istante in istante:
Non v’ha più rifugio, più speme non v’ha.

Fra il vento che fischia, fra il tuono che romba,
Fra il guizzo sinistro di mille balen,
Ogni onda che manca le schiude la tomba,
Ogni onda che balza divelle il suo sen.

Perduta ha la voce, la mente smarrita,
Non sente che il figlio che preme sul cor:
L’istinto di madre la torna alla vita;
Ma sol perchè provi più fiero il dolor.

Coll’ultima lena, che pur le rimane,
Si volge alla madre del Figlio Divin,
E grida, bagnata di lacrime vane:
Sii madre, o pietosa, di questo bambin!

Per me non ti prego, non vivo che in lui;
Se un’ostia si chiede, per ostia mi dò:
M’inghiottan del lago gli abissi più bui,
Sol ch’egli sia salvo, contenta morrò!

Al suon della prece che l’esce dal seno
Il rombo d’un’ala le parve sentir. . .
E vede un’alciona, presagio sereno,
Coi candidi vanni la spuma lambir.

Saluta col core l’augello pietoso,
Aguzza lo sguardo e scorge lontan
Un tronco natante di rovere annoso...
Ver esso protende la tremula man.

Rammenta che il grande che ha salvo Israello
Dai gorghi del Nilo fu tratto del par....
Con ansia affannosa vuol giungere a quello
Fidargli il suo caro, baciarlo, e spirar.

L’accosta, lo giugne, l’afferra... ma invano:
Quel ramo si schianta, le sfugge, sparì;
E sperde con esso l’atroce Verbano
Quell’ultima speme che il cor le blandì.

Un cerchio di spuma la cinge, la serra,
Da un’intima forza si sente levar:
Ma il legno già scende, si spezza, si sferra;
E i fianchi sconnessi già s’aprono al mar.

La madre sul bimbo piegò la sua testa,
Un’ultima volta lo strinse e baciò;
E sparver tra i flutti dell’atra tempesta,
Che un urlo di gioia dall’imo mandò!

III.

Come, pago di sue prede,
Si placò l’orribil nembo,
A fior d’acqua ancor si vede
Risalire un bianco lembo:
Poi disparve e cosa alcuna,
Non brillò sull’onda bruna.

Ma gli abissi più profondi
Non ascondono il misfatto,
Spera invan sonni giocondi
Il geloso soddisfatto:
L’onda ingoia il mortal velo,
Ma lo spirto ascende in cielo.

Vero è ben che della donna
Inesausta è la pietade:
Ma l’Eterno non assonna,
Nè dal capo un capel cade
Che non gridi innanzi a Dio:
Onta al tristo, e pace al pio.

Da quel dì gli sta davante
E travede in ogni volto
Quella madre e quell’infante
Che nel lago ha già sepolto:
Ogni voce ed ogni accento
Pargli un sibilo del vento.

L’onda azzurra del Verbano
Rosseggiar di sangue mira:
Ogni oggetto da lontano
Pargli un bambolo che spira.
L’alcion che rade il mare
Pargli Imelda che dispare.

Quando spera sul guanciale
Riposar la sua cervice,
Il fantasma appiè gli sale
D’una naufraga infelice,
Colle chiome ancor grondanti,
Colle labbra boccheggianti.

L’occhio spento in lui s’affisa,
Ed un braccio ischeletrito
Si prolunga in strana guisa,
E sul cor gli pianta un dito,
Mormorando in flebil suono:
Rea non sono! rea non sono

E quel suon profondo e roco
Qual di gemito lontano,
Si rinforza a poco a poco,
Come scoppio d’uragano,
Come squillo di una tromba,
Che terribile rimbomba.

Pace! pace l’ombra dolente,
La sua voce alfin risuona,
Eri pura, eri innocente;
Sii pietosa e mi perdona,
O nel fondo al negro speco
Lascia alfin ch’io scenda teco!..

Tale in preda ai suoi rimorsi
Vive il tristo e non ha posa.
Quattro lustri ha già trascorsi
Senza figli e senza sposa,
Invocando invan la morte,
Cui dannò la sua consorte.

Ora il tempo ha quasi spento
Il suo nome e la sua immago;
Ma rimane un monumento
Sulla sponda di quel lago...
Una croce a cui s’inchina
Ogni pio che si avvicina.

Londra, 1857.
Note Bibliografiche:
Tratta dall`edizione italiana in Fantasie drammatiche e liriche, Felice Le Monnier, Firenze 1866, pp. 274-281.
A Cura di:
   [Gioacchino Civelli]

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