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Omelia durante il pontificale nella cattedrale di Bergamo - onoranze a san Gregorio Barbarigo (20 novembre 1960)

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Primo Autore:
Giovanni Battista Montini
Secondo Autore:
 
Titolo:
Omelia durante il pontificale nella cattedrale di Bergamo - onoranze a san Gregorio Barbarigo (20 novembre 1960)
Testo Completo:


In occasione della canonizzazione del card. Gregorio Barbarigo, voluta da Giovanni XXIII e celebrata il 26 maggio 1960, l’allora arcivescovo di Milano, card. Giovanni Battista Montini viene invitato a Bergamo per il pontificale al termine delle celebrazioni per il nuovo santo. L’arcivescovo di Milano traccia un parallelo tra il nostro san Carlo e san Gregorio il cui desiderio era quello di imitare in tutto il santo arcivescovo di Milano.

Discorsi e scritti dell’arcivescovo Montini , vol. II, pp. 3920-3928



Omelia durante il pontificale nella cattedrale di Bergamo
a conclusione delle onoranze a san Gregorio Barbarigo (20 novembre 1960).


DUE RIFORMATORI


L’invito, che oggi qua mi conduce per assistere al solenne Pontificale ad onore di Dio e per celebrare la memoria di Gregorio Barbarigo, resa gloriosa dalla recente canonizzazione del Santo Cardinale, Vescovo prima di Bergamo e poi di Padova, non è fra quelli che esigono soltanto una passiva presenza, ma fra quelli che impegnano ad una partecipazione viva e commossa, e che sollevano nello spirito sentimenti e pensieri propri delle ore belle e memorabili. Quest’ora infatti, sacra alla preghiera e alla memoria, si riempie di alto significato per la vita religiosa non solo delle nostre diocesi, ma del nostro tempo, perché acquista valore di sintesi d’una tradizione secolare, lucidità di coscienza sul momento presente e vigore d’orientamento per il cammino che ci aspetta; è un’ora di luce; Dio voglia che sia anche un’ora di grazia.

L’importanza di questa celebrazione risulta da particolari circostanze, che sarebbe imperdonabile incuria non avvertire: questo Santo fu vostro, quale vostro può essere un Vescovo; e cioè con i vincoli dell’affezione, che non ha confronto: quella della carità pastorale, e vostro ritorna il Vescovo con l’aureola del Santo, a lui riconosciuta con infallibile autorità da un figlio di questa vostra benedetta terra bergamasca, che ha dato alla Chiesa di Dio il Pontefice sommo Giovanni XXIII. Avvertiamo tutti che questo avvenimento registra nomi, luoghi e fatti nei fasti della storia; e proviamo quasi un senso di ebbrezza al pensiero che una corrispondenza, non pur di notizie, ma di anime, si stabilisce fra cielo e terra, e che il grande e misterioso flusso della comunione dei Santi scorre vicino a noi, e ci attira ad una dolce e fiduciosa conversazione. Un Santo è sempre un fenomeno di prima grandezza; è un campione umano che appartiene alle nostre file e perciò ci esalta e ci sconcerta, perché a noi simile e da noi tanto dissimile; ma poi è un fratello, che ci svela l’umanità vera e ci dà conforto nel bene, e nel destino felice del mondo.

È perciò chiaro che una delle più ovvie conseguenze della canonizzazione d’un Santo è di proclamarlo esemplare. Anche quando il Santo, per la sua singolarità, per certa sua eccessività non è imitabile, per il fatto stesso che la Chiesa lo esalta come un tipo di perfezione, come un vittorioso, come un eroe, si presenta a noi come un modello degno di ammirazione e di studio, capace di svegliare energie spirituali, che si dirigono lungo il solco morale tracciato da lui.

Ora, la considerazione di questa esemplarità, propria dei Santi, riferita a San Gregorio Barbarigo, richiama innanzi tutto la sua principale sorgente, che San Paolo svela per sé, come la svela per tutti i Santi, dando così ragione del culto che a loro noi tributiamo; «siate imitatori miei, come io lo sono di Cristo» (1 Cor. 4, 16; 11, 1). Cristo è il prototipo; Cristo è il solo Maestro. Ma questo rispecchiamento di Cristo in San Gregorio Barbarigo avviene mediante un angolo di rifrazione, che solleva al suo fianco la figura d’un altro Santo: San Carlo Borromeo. Ed ecco perché anche il successore di San Carlo, ultimo nel tempo e nel merito, si sente avvinto, come di avvenimento che lo interessi particolarmente, da questa celebrazione: celebrare San Gregorio è richiamare San Carlo. Una delle più palesi caratteristiche del vostro Santo è la sua parentela spirituale col mio, anzi col nostro Santo lombardo, che lo ha preceduto nel tempo, e gli ha aperto la via alla santità propria di lui.

Mi pare che questo accostamento dei due Santi non si possa preterire, tanto meno da me, e che offra un duplice aspetto molto interessante, quello d’una migliore conoscenza del Barbarigo e quello d’un nuovo e forte argomento ad essere noi stessi imitatori suoi, e fare con lui catena di spirituale derivazione da una corrente di santità, che fa capo a San Carlo, e che da lui, cliente lui stesso d’altri Santi, ci conduce a quel movimento di rinascita religiosa nella Chiesa Cattolica, che scaturì dopo la crisi protestante e che dura tuttora. In questa trasfusione di santità, da San Carlo a San Gregorio, avvertiamo un movimento, una successione, una trasmissione ereditaria e vitale di certe forze e di certi criteri di vita cattolica che ci rendono più vicini al nuovo Santo e più solleciti a raccoglierne per noi e per il nostro tempo i salutari ed esemplari insegnamenti.

Gregorio Barbarigo trovò infatti, anzi cercò nella esemplarità di San Carlo Borromeo una delle ragioni costitutive, e forse la principale, certo la più evidente della sua propria santità. San Carlo gli fu esempio, gli fu stimolo, gli fu vincolo alla santità; e certamente gli fu anche celeste amico e intercessore propizio. San Gregorio lo ebbe sempre davanti a sé, non staccò mai lo sguardo da lui, cercò in ogni momento di regolare la sua condotta su quella ch’egli supponeva sarebbe stata quella del grande arcivescovo ambrosiano.

Lo dice la bolla di canonizzazione, o meglio lo stesso regnante Pontefice, che innesta la sua personale testimonianza, all’inizio del solenne documento, affermando che il Barbarigo di San Carlo fuit sectator fidelissimus, fu fedelissimo seguace, e ripetendo, più avanti, che San Gregorio nella cura pastorale Santi Caroli Borromei simillimus fuit, fu in tutto simile a San Carlo Borromeo1. Né sembrerà vano, al Papa vivente, che fa Sua gloria della gloria del Barbarigo, ripetere la stessa affermazione nel discorso pronunciato durante la Messa Pontificale della canonizzazione, in San Giovanni in Laterano, il 26 maggio scorso: San Gregorio Barbarigo «a mezzo secolo di distanza da San Carlo Borromeo, ne fu imitatore mirabile»; anzi nel seguito dello stesso discorso il Papa ancora afferma che: «il più grande imitatore di San Carlo fu San Gregorio Barbarigo»2. Forse, così esclamando, il Santo Padre sente ritornare alla memoria ciò ch’Egli stesso, anni addietro scriveva definendo il Barbarigo «insieme emulo e imitatore» di San Carlo3. E forse Egli vuol essere coerente col Suo Predecessore Clemente XIII, che nel decreto di beatificazione, avvenuta due secoli prima (16 luglio 1761) tesse l’elogio del Beato Barbarigo appunto così: «Diede splendido esempio di perfezione e di santità, in conformità all’alta missione episcopale, riuscendo ad imitare da vicino la figura di quel santissimo Vescovo di Milano, San Carlo Borromeo, ch’egli s’era prefisso come modello»4.

E quest’ultimo autorevole rilievo ci indica che la somiglianza fra i due Santi non è un rapporto puramente casuale e postumo, scoperto dall’agiografo, ma è il risultato di un’intenzione cosciente e voluta di San Gregorio Barbarigo, che della figura di San Carlo s’era fatto modello e della sua azione pastorale programma.

Sarebbe interessante, ma sarebbe troppo lungo ricordare i punti di contatto della vita di San Gregorio con quella di San Carlo; essi riguardano i due Santi come Vescovi e come Pastori, se si eccettua l’episodio dell’assistenza prestata dal Barbarigo agli appestati di Trastevere5, a Roma, quando ancora egli non era Vescovo, episodio che sembra prestabilire col Vescovo di Milano il preludio d’una rassomiglianza, che l’azione pastorale renderà assidua e intenzionale.

Gregorio, appena consacrato, si mette alla scuola del suo maestro studiando quegli Acta Ecclesiae Mediolanensis ch’egli non lascerà più, e che sono la documentazione più istruttiva e più insigne del genio pastorale e direttivo di San Carlo. Egli stesso, San Carlo, ne aveva riconosciuto il singolare successo e l’enorme diffusione nel suo discorso all’undicesimo sinodo diocesano: «questi nostri concili, diceva, questi sinodi, questi decreti passano i mari, valicano i monti, penetrano in paesi lontani …»6. È su questa documentazione che Gregorio si forma la mentalità di Vescovo. La sua prima lettera pastorale7 vi cerca ispirazione e l’esperienza pratica. E questi Acta se li porta con sé, venendo a Bergamo, non senza aver prima sostato sulla tomba del Borromeo8, a Milano, in una di quelle preghiere, che ricordano quella di Eliseo ad Elia: «Ti prego che sia sopra di me doppiamente il tuo spirito» (4 Re 2, 9)9. E tanto il Barbarigo era persuaso dell’eccellenza e dell’autorità degli insegnamenti di San Carlo, che ne introduce quasi ad litteram gli ammonimenti nell’orazione per il Sinodo di Bergamo10 e nelle sue famose regole scritte per il nuovo Seminario di Padova Institutionum epitome, si nota che segue assai da vicino quelle di San Carlo11.

E ciò che si nota nella derivazione del pensiero lo si può ripetere per la condotta. Si narra, ad esempio, che «quando c’era qualche difficoltà da superare, nel disagiato cammino, per raggiungere paesi inerpicati su le sommità dei monti, il Barbarigo chiedeva intorno: c’è stato San Carlo? Ebbene: vi andremo anche noi»12. E così si potrebbe dire di tanti aspetti pratici della vita pastorale del Barbarigo: lo spirito di preghiera e di penitenza, l’amore allo studio e alla predicazione, lo zelo indefesso e lo spirito di sacrificio danno di lui una fisionomia morale ed ascetica molto simile a quella di San Carlo; e così il suo programma pastorale: la formazione del clero, la disciplina ecclesiastica, l’insegnamento della dottrina cristiana, le visite pastorali, la celebrazione di sinodi, e così via, sono tutte attività che San Carlo sembra suggerirgli e infondervi una persuasione, un’intensità, un’efficacia proprie della mirabile operosità del Santo milanese.

Che San Carlo abbia avuto questo potere superiore di attrazione morale e di fascino spirituale noi sapevamo. Egli fu un suscitatore di discepoli, un formatore di seguaci. Egli personificò l’ideale di Vescovo, quale risultava dalla riforma tridentina; Egli diede alla Chiesa il «pioniere della pastorale moderna»13; ma non sapevamo che avesse avuto in Gregorio Barbarigo un imitatore così fedele, così impegnato e così riuscito. Anche San Francesco di Sales, ad esempio, venne pellegrino a Milano attirato, come egli scrive, «dalle recenti memorie del grande Arcivescovo San Carlo» e lo volle certo imitare, ma quanto diverso da lui!14 Barbarigo invece è dello stesso stampo. È un altro San Carlo. Non ebbe la medesima posizione storica e non ebbe la formidabile tempra volontari sta di lui; ma ebbe al tutto simile il tipo di santità. Anche di San Gregorio Barbarigo, come ha bene notato il Vescovo di Padova15, si può dire che «ha realizzato la spiritualità del clero diocesano».

Non si vuole con questo disconoscere i lati peculiari della psicologia e dell’attività di San Gregorio Barbarigo, i quali lo distinguono da San Carlo e gli conferiscono una sua propria personalità, ed anche una sua originalità. Gli uomini, ed ancor più i Santi, sono sempre originali ed hanno dei tratti personali inconfondibili. Il Barbarigo, anche a confronto col Borromeo, guadagna per essergli simile, e non perde per essere da lui distinto e differente. La fisionomia culturale, ad esempio, che il Barbarigo impresse al Seminario di Padova, facendone precursore ed emulo degli sviluppi scientifici di quell’Università, ci fa risalire ad una concezione di studi ecclesiastici diversa da quella che forse ne aveva San Carlo, che pure aveva ispirato al Barbarigo, il grande concetto della scuola seminaristica. Così la sensibilità ch’egli ebbe, quasi presaga dei tempi futuri, circa l’avvicinamento della mentalità e della civiltà del medio-oriente, sia scismatico, che pagano, è una caratteristica a lui propria, che troveremmo ben diversamente vibrante nell’anima apostolica di San Carlo. La figura del Barbarigo è sorella di quella di San Carlo; ma non è una ripetizione; vive di vita propria, ed ha una sua propria grandezza, che volentieri le riconosciamo.

Ma senza insistere, in questo breve momento, nell’analisi di questi punti differenziali dei due Santi, torna più utile alla nostra edificazione domandarci che cosa di comune i due Santi tramandano a noi, E per il fatto che esiste un’eredità comune dei due Santi, questa si raccomanda tanto più alla nostra considerazione. E per l’altro fatto che la comunanza risulta per via di voluta imitazione il patrimonio spirituale da loro trasmesso si raccomanda tanto di più alla nostra imitazione, alla nostra continuazione.

Che cosa ci trasmettono di comune San Carlo e San Gregorio? Un’immensa ricchezza di vita cristiana e di santità sacerdotale: insegnamenti, precetti, costumi, esempi, programmi sono tuttora vivi e moderni. Tolti i rivestimenti formali di quei secoli passati, la loro limitabilità è tuttora obbligante.

Per convincerci di ciò, ed ancor più lasciarci santamente impressionare dalla santità del Barbarigo, nella quale si rispecchia quella di San Carlo, dovremmo riandare gli ampi ed autorevoli discorsi del Santo Padre sul nuovo Santo; a quelli anzi esorto tutti a ritornare per meditarli e per istruirsi, Capiremo così come «San Gregorio Barbarigo fu un prelato moderno nel senso più giusto ed ampio del termine». Io non so trattenermi dal citare le magistrali parole del Papa: «Prelato di alta cultura scientifica di fisica, di matematica, strettamente intesa, di letteratura latina, italiana e delle diverse lingue di Europa e d’Oriente; vigile a tutte le forme più penetranti dello zelo pastorale, egli fu davvero un grande personaggio dei suoi tempi. Ma sotto il velo prezioso della sua modernità egli coltivò innanzi tutto uno spirito squisitissimo di santità autentica, purissima che gli permise di conservare l’innocenza battesimale, e di crescere di anno in anno nell’esercizio delle virtù sacerdotali più alte e più edificanti. Erano infatti: una fede in lui che lo mise in guardia dalle sottigliezze del quietismo e del gallicanesimo, una confidenza in Dio che gli rendeva familiare come palpito l’elevarsi continuato del suo spirito in Gesù, con continuate giaculatorie come dardi d’amore, una fortezza imperterrita, in circostanze angosciose che gli fece dire, col pugno serrato sul petto: - color di porpora e color di sangue: e questo vi dica che per la giustizia e per il buon diritto di Dio io sono disposto a sacrificare la mia vita -: una carità fiammeggiante di padre e di pastore estesa alle forme molteplici e più varie della dedizione di un grande cuore di uomo insigne e di sacerdote venerabile»16.

Parole stupende, alle quali fanno seguito, non meno nobili ed istruttive pronunciate dallo stesso Sommo Pontefice, ed altre ancora fanno eco, proferite da quanti, anche in questa sede17, hanno rievocato la figura, trasfigurata dalla proclamazione della santità di San Gregorio Barbarigo18.

Noi, ancora insistendo su i caratteri che avvicinano San Gregorio a San Carlo, vogliamo concludere questo tributo alla memoria del Barbarigo contentandoci di rilevare uno di questi caratteri, il quale sembra avvicinarli entrambi a noi e al nostro tempo. Ed è il loro carattere di riformatori.

Che cotesto aspetto sia evidente, anzi saliente nei due Santi può dire ognuno anche per poco che li conosca, e che tenti di definire la loro missione in funzione del tempo in cui si trovarono a vivere e del significato riassuntivo dell’opera loro. San Carlo e San Gregorio furono dei riformatori. Furono dei lottatori contro una somma di mali ed in favore d’una somma di bisogni che la società di allora presentava, e non solo la società, la Chiesa. E sotto questo aspetto furono discordi con tanta gente e con tanti costumi del loro tempo, e furono perciò relativamente soli ed avversati, ma furono per questo dei pionieri, furono degli innovatori, anticiparono la storia susseguente, ebbero ciò che noi moderni abbiamo fino alla follia: il senso ed il gusto della novità. La riforma è appuntoi una novità. A questo rinnovamento i due Santi protesero tutte le loro forze e riuscirono a dare alle loro popolazioni un volto nuovo, un costume nuovo; riapparvero cristiane, ritornarono cattoliche e nel nome e nella virtù di quei geni restauratori tali per secoli, fino ad oggi posssiamo dire, esse rimasero.

Questa parola: riforma viene oggi ad agitare il mondo. Si direbbe che il modo è così malcontento di sé che non trova pace, se non cambia i suoi ordinamenti. La conquista delle risorse, che l’uomo va estraendo dalla terra che lo ospita, lo obbliga quasi a innestarle nel servizio delle sue abitudini, e queste mutano; mutano profondamente la mentalità, il costume, i rapporti umani. Ma è evidente che questa accelerazione di mutamenti non porta sempre all’ordine, alla pace, alla vita. Si direbbe perfino il contrario.

Qui uno studio sarebbe necessario: perché le continue riforme che l’uomo moderno va operando non producono effetti che si possono dire veramente benefici? Perché invece d’un umanesimo più civile, più buono pare ogni momento che un umanesimo meno umano vada nascendo? Perché coloro che riflettono su questo divenire dell’umanità danno segno di disperazione e di follia?

E lo studio sarebbe tanto più interessante in quanto a far coro sul bisogno, anzi sul dovere di riforma è la Chiesa stessa, quella Chiesa che molti giudicano una pietrificazione d’un dato momento storico e culturale e che invece, a ben vedere, è il fermento che obbliga non solo il mondo ma lei stessa ad una continua riforma. «La Chiesa è sempre stata in attività per riformare se stessa»19. È nell’indole

[il manoscritto si interrompe e continua in forma schematica]

« - perché in via di perenne riforma

- discriminante Dio -

o

l’uomo

riforma fondata su Dio

da legge – ma per ordine e verità

- risultato paradossale { verità = libertà -

fondata su l’uomo – dà affrancamento – poi compressione poi schiavitù

- senso dello sforzo riformatore dei due Santi: riportare Dio a polo della vita -

- come di ciò oggi vi sia bisogno (non si tratta di creare teocr. o potenze temporali – ma fondare sul timor di Dio la vita umana) -

- come Bergamo in ciò si presenti». -





NOTE



1 AAS 1960, p. 440.

2 AAS 1960, pp. 458 e 461.

3 A. G. Roncalli, Gli inizi del Seminario di Bergamo e S. Carlo Borromeo. Note storiche con una introduzione sul Concilio di Trento e la fondazione dei primi Seminari, S. Alessandro, Bergamo 1939, p. 82.

4 G. Bellinati, S. Gregorio Barbarigo. Pensieri e massime, Libreria Gregoriana, Padova 1962, p. 248.

5 Si riferisce all’opera che Gregorio Barbarigo prestò tra il giugno e il settembre 1656 tra gli ammalati nel popolare rione romano, quando aveva accettato l’incarico di «deputato all’organizzazione della pubblica sanità» durante la peste di quell’anno.

6 Acta Ecclesiae Mediolanensis, ed. ex typographia Santini, Bergomi 1738, p. 1170.

7 La prima lettera pastorale di Gregorio Barbarigo fu inviata il 16 febbraio 1658 da Venezia al clero e al popolo di Bergamo: in essa parla del pastore che la diocesi attende, tracciandone un ritratto ideale sul modello di san Carlo.

8 Prima dell’ingresso in diocesi, avvenuto il 27 marzo 1658, il Barbarigp si era recato a pregare sulla tomba del Borromeo.

9 Nella nuova versione dell’Antico Testamento, come è noto, i quattro libri dei Re come erano nella Vulgata sono stati diversamente distribuiti: il I e il II libro sono diventati il I e il II libro di Samuele, il III e il IV sono diventati il I e il II libro dei Re, per cui secondo la nuova ripartizione, la citazione sarebbe 2 Re 2, 9.

10 Bellinati, p. 100, n. 14.

11 Bellinati, p. 177.

12 Bellinati, p. 94.

13 R. Mools, Saint Charles Borromée, pionnier de la pastorale moderne, in «Nouvelle Revue Théologique» LXXXIX (1957), pp. 600-622, 715-747.

14 P. Broutin, La Réforme pastorale en France au XVII siècle, Desclée, Paris 1956, vol. I, pp. 73 e 94.

15 Bollettino diocesano 1960, p. 440. Mons. Girolamo Bartolomeo Bortignon vescovo di Padova dal 1949 al 1982.

16 AAS 1960, p. 459.

17 Nel pomeriggio dello stesso giorno, il Barbarigo era stato rievocato al teatro Donizetti dal conte Giuseppe Della Torre, direttore de «L’Osservatore Romano»,

18 cfr. Atti della canonizzazione in Bollettino diocesano di Padova giugno 1960.

19 Y. Congar, Vrai et fausse Réforme dans l’Eglise, p. 19.

A Cura di:
   [Fabrizio Pagani]

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