Cap. VII
Lasciando adietro il sassoso precipizio, che fa spalla alla nominata terra di Carmeno, famoso per lo profondo piede, ch’immerge nell’acque verbane, detto perciò il Sasso di Carmeno, che a guisa d’alto promontorio spaventa i naviganti in tempo di fortuna tra i pericoli di naufragio.
Vedonsi nel lago medesimo poco distanti dalle rive alcuni scoglj, sopra de’ quali furono fabbricati del 1403, e 1404 due forti castelli da’ sopra nominati fratelli Mazzardini, nativi di Ronco pieve di Canobio, il padre de’ quali signori fratelli si chiamava Lanis, e ‘l maggiore di questi chiamarono il Forte Malpaga. Quivi costoro con insano ardimento si fecero forti maneggiando l’armi, sostenuti da’ signori conti Ruschi, i quali s’apponevano alle parti de’ ghelfi, e gibellini, invenzioni del demonio per tener i popolani sempre in armi, e tanto crebbero in ardire i Mazzardini fatti grandi, e potenti col seguito de’ forusciti, che poste a ruba l’intiere terre vicine, né ancor sazj assediavano i prossimi, li faceano prigioni, levavano loro le possessioni, le case, e quanto ritrovavano con barbarie crudeli, esercitando continui omicidj spietati; tanto che l’iniquità salì su la catedra della potenza, e facendosi terribilmente temere divennero tirannicamente padroni di Canobio, e de’ luoghi vicini, nel qual borgo prima si fecero forti con servirsi dell’alto torracchione delle campane, e’l palazzo pretorio convertirono in fortezza per esser maggiormente sicuri. Col cui mezzo poi ampliarono il Forte Malpaga, lo fecero loro covile, e stanza de’ ladronecci, perseverando ad abitar colà tra continue tirannidi, e violenze lo spazio d’undici anni, cioè dal 1403 sino al 1414.
Ciò inteso dal duca Filippo Maria Visconti, fe’ assediar il castello da 400 uomini d’armi, durando tal’assedio due anni; in fine mancando alla sceleraggine l’alimento, convenne rendersi al duca, rovinato il castello, e sbandita quella ciurma di masnadieri mezzo morti di fame, come hanno scritto il p. Leandro, ed il dottor Domenico Macagno; ma Gaudenzio Merula nel libro:
De Gallorum Cisalpinorum antiquitate narra, che rendutisi a discrezione, e posto loro un sasso al collo, sommersi nel lago ivi pagassero la pena, ove avean comessa gran parte delle loro insoffribili iniquità, così scrivendo:
Mediolanenses subverterunt pyratis ad unum saxo ad collum appenso submersis.
Donati poi dal medesimo duca Filippo Maria que’ due scoglj, su de’ quali s’ergeva qualche parte rovinata de’ sudetti castelli, a casa Borromea, l’anno 1519 piacque al conte Lodovico Borromeo d’erger di nuovo nello stesso luogo una forte rocca, chiamandola la Vitaliana, che ancor oggi si vede, gloria dell’alto casato, in fronte della quale in duro marmo fece incidere a majuscole questi versi:
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Vitaliana vocor Verbanis turris in undis
Edita primariae nomina stirpis habens.
Me Ludovicus sic Borromaeus in altum
Extulit; ut pateat Vitalianus honos.
Simque locus fidis semper patefactus amicis,
Hostibus at nostris sim moribunda lues.
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E su la porta maggiore del medemo castello
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Ingredere, et specta o mi hospes,
tecumque revolve,
quae sit in adversis virtus,
quaecunque regenti
iuncta vides saxo, factum laudante fideli.
Helvetis, mediis fortunae in fluctibus egit.
Vitalianorum Ludovicus vera propago.
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Anchise Visconti, generale di quelle fumanti guerre nell’anno 1523 assediò in detto castello Lodovico Borromeo, colà ricoverato per isfuggir l’ira di Francesco Sforza, ma valorosamente resistendo il Borromeo a quelle forze, convenne al nemico vergognosamente ritirarsi; così il Carmeno, Arlunno, ed il Merula nelle loro Istorie.