L’altra si chiama Isabella, che quasi per un secolo fu angusta terricciuola de’ pescatori, nel mezzo di cui stava sollevata dalla natura un[‘]alta rupe sassosa in forma di promontorio. Colà un giorno giunto, e salito quel scosceso dirupo, v’udii la santa messa, celebrata da quel paroco, mentre su la cima d’esso monticello stava anticamente eretta la parocchiale di quelle semplici genti; ora nuovamente fabbricata con nobile architettura, da chi tutto rinovò al piede dell’Isola medesima.
Non può a sufficienza comprendere la vastità del pensiero, la nobiltà dell’idea, la copia dell’oro profuso in avere spianato detto promontorio con lungo lavorio di scalpelli, ed atterrata una montagna con fatiche estreme, e per conseguenza di spese regie, sino a formar sul piano vago giardino, ampio cortile, cinto da nobili balaustri di marmo, e con doppi prospetti, guerniti di statue gigantesche, mostrar con maraviglia de’ secoli, come sopra un sasso solo grandeggi il fasto de’ prencipi, e tra l’ombre di questo Egitto, risplenda qualche scintilla delle superne bellezze. Tutto ciò operarono le grandi potenze con sovrano intendimento del sig. conte Vitaliano.
Altre sì poco discosto dalla parocchiale v’è nuovamente eretto altro tempio dedicato a nostra Signora, a’ piedi del cui altare per particolar sua divozione esso sig. conte volle fosse riposto il proprio cuore con la seguente iscrizione:
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COR
VITALIANI COMITIS
BORROMEI
MAGNIFICENTIA INSULAE
AMOR SUBDITIS
VIRGINI RELIGIO
DEDIT
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Ma volendo ordinatamente procedere, passeremo alle strutture, sì per l’alta idea di maestoso disegno, come per li fregi sublimi sempre mirabili. Fu dunque gigante pensiero del rinomato sig. conte Vitaliano, che prencipi, e cavalieri approdassero colle peotte in prospetto dell’alto palagio, ove tra il sito d’esso, ed Isella di Sotto, posando l’acque del Verbano le lor onde, quasi in piano letto adagiandosi, sempre brillano.
In questo seno di quiete ordinò si dirizzasse ampia scala, comoda al passeggero per insensibile salita, larga quaranta braccia, lunga trecento, cinta ne’ lati da balaustri di bianchi marmi, ornati di statue, e da altri vaghi fregi fatto terrapieno quel seno di lago con sontuosa spesa per l’altezza di molte braccia.
A capo della mentovata salita si vede con diletto avanti la nobile struttura ampio recinto in forma di piazza per nobile passeggio, che pure dee esser fasciato all’intorno di balaustri di marmo, in figura di due quadri, e d’indi per alcuni maestosi gradini si giunge alla porta maggiore della regia sala, che possedendo nel mezzo di sì ben ideati edifizi il primo luogo, o sian file di stanze terrene co’ superiori d’egual grandezza.
Questo nobile, e vago composto, è di figura rosata, e dal piano inferiore, sin dove posano le volte superiori, s’erge in altezza di braccia quarantadue, e catenata alla superior cupola nell’altezza delle dette due volte è di braccia diciotto, e mezzo, che in tutto forma l’alto di braccia sessanta, e mezzo, ove l’occhio con diletto si perde nello spazio di sì vaste misure.
La pianta di detta sala è di diametro braccia quaranta da un pilastrone all’altro, forma di minor diametro lo spazio di braccia ventisei.
Le pareti fregiate co’ piedestalli, basi, e pilastrate di lustri marmi tengon i sensi, di chi mira, a diporto.
Questa sublime architettura è disposta a due ordini, corinto, e composito, l’uno sopra l’altro; onde dal piano nobile superiore vengono detti ordini tramezati da vaga loggia, che formando compito giro all’orbicolata figura cinta da vaghi balaustri di marmo, serve in uno d’ornamento, e porge la comunicazione a’ quarti nobili superiori; sendo i vani delle porte co’ loro stipiti scorniciati di marmo lustro, le sudette volte ornate di preziose pitture, stucchi, ed oro, come pure le mura ne’ siti, sopra le porte, e finestre, mostrano la grandezza dell’animo di chi ordinò sì maestose strutture.
Sotto poi al piano nobile inferiore, si gode una grottesca ornata a musaico, pure in volta co’ fregi di marine conche, la cui altezza è di braccia sei, e mezzo.
D’indi passando sopra i fianchi della superba machina, si vedono con istupor de’ sensi due gallerie superbamente fregiate.
Da un altro lato sta l’oratorio, le cui mura sono coperte di marmi lustri, stucchi, pitture, ed oro.
Dalla prima porta di detta sala, si passa a dirittura all’altra annessa, che pure è di lunghezza di braccia quaranta, e da quella allo spazio, che serve di ripiano al capo del maggiore scalone, che dirizza l’ospite a tutti i quarti, poscia a diametro s’avanza ad altra vasta sala, e da quella ad un’altra, che serve al nobile trattenimento de’ tavolieri, di là si giunge alla maestosa Galleria, lunga braccia [...] larga braccia [...] a cui fa prospetto una statua gigantesca, e mostra un Ercole, che riposa su la clava, guernite le pareti dell’atrio d’artifiziosi musaici, che nel mezzo a’ bizarri rabeschi, formano l’armi gentilizie della casa.
Salendo poi per gradi, che formano ampie scale di vermiglio migliarolo contesti, per tutto si calcano maestosi viali, figli della grandezza, spalliere di lime, cedri, e melangoli, gelsomini, viole, garofani, rose, anemoni, ranoncoli, gazie, e tuberose d’ogni stagione, anche nell’algente gennaio Ogni sito guardato da statue di marmo, da geroglifici, da simboli delle cose gentilizie, inquartato nell’armi borromee. Insomma ogni incontro è vago prospetto nella cui spesa vi s’impegnaron tesori.
Quanto alle logge, ed a’ portici inferiori vicini all’acque, che circondano l’Isola, ed alle superiori campagne di verzumi, che può ridirne i lunghi lavorecci composti dall’arte più fina? Chi gli archi eretti dal fasto, volteggiati dalla magnificenza, gioiellati dalla nobiltà, guerniti dalla ricchezza? Chi i colonnati, i mosaici, i scherzi dell’acque? Chi può giungere a descriverne, non tutto ma la menoma parte? Si perde l’intelletto nella fuga delle sale, si confonde la memoria nel numero innumerabile delle stanze, tutte arricchite da suppellettili dorate, da preziose pitture; basta il dire, che tutta la machina, il gran corpo di sì superbi edifizi, non ancora terminati, perché richiedono alla loro perfezione nuovi secoli, fu lavorio di più centinaia d’operai ogni dì sopra anni più che sessanta dalle prime fatiche, alle quali sì nobilmente applicò il fu sempre degno d’eterna memoria felice il già mentovato sig. conte Vitaliano.
Qui poi ritornando a dar un’ occhiata a’ cedri, alle spalliere de’ pomi, coll’agro, e dolce d’ogni spezie, carche di fiori, ch’olezzano fragranze di terreno Paradiso, di frutta, che alletta al tatto, ed al saggio, tutto mostra delizie, tutto insinua maestà, e grandezza. Sì che avremo detto, e scritto assai, e saremo ancor a principio, altro non potendo soggiunger a chi legge, se non che vada, veda, osservi, ed applauda.
Ma se dobbiamo toccare qualche parte di tante figure, diremo del molo in figura di mezzo circolo, in forma teatrale, tutto contesto di marmi, ove approdano le navi, e salendo per scaglioni di vivo marmo si giunge al primo cortile dalla parte del monte, ed ivi calcato il suolo de’ portici, sostenuti da colonne di marmo, si sale la scala grande in due ordini sì spaziosi, e vaghi, che nell’ingresso loro, mostrano in trono la magnificenza, fregiate le mura di stucchi a rebesco, coll’armi pontifizie, regie, e del casato, sopra la cornice poi, che fa piede alla volta si mirano in medaglie di stucco l’effigie de’ papi, e de’ cardinali della famiglia. Alla sinistra per lo varco di nobil porta, si vedono due vaste sale, d’indi la terza lunghissima, che tutte tre in dirittura compongono un tutto di più di centinaia di braccia, il cui terzo salone volteggiato dalla grandezza, distinta la volta da dorati rosoni, sotto quali miransi con diletto pendenti vaghe lumiere di luminoso cristallo, preziose fatiche, dalle quali, vien vinta la materia dal lavoro, allettano l’animo a grandeggiar in ogni azione.
Fregiano poi sì nobile continente, che può servire con onore impareggiabile a più grandi monarchi numerose fatiche, e dottissime applicazioni de’ più rinomati pittori antichi e moderni, già passati a miglior vita, molte statue sì ben intese, che se le osservi, ti parlano, mostrandoti ne’ gesti, e negli attegiamenti i loro affetti. Alcune piangono la loro trista sorte con evidente dolore, altre ridono delle proprie fortune, ed altre mostrano, come con forte costanza si continuano l’opere più ricolme di sudori, per salir al monte della virtù. Li scrigni d’ebano con risalti di dorati rebeschi, intersiati da fiori fan conoscere le preziosità unite a fasci; e perché ogni quarto dell’ampie strutture camina sul doppio, l’altro contiene numerosi gabinetti, capaci con nobili orilieri ad ogni altro comodo abitabile, atto a ricevere, e dar riposo a cento nobili personaggi, eziandio, se fossero di regia stirpe.
I pittori famosi, che arricchiscono sì preziose gallerie, con le loro opere sono i seguenti:
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Tiziano
Il Zoppo di Lugano
Danielle Crespi
Giorgione
Bassiano
Guercino da Cento
Tintoretto
Parmigianino
Gio. Battista Cerano novarese
Cornaro
Giulio Cesare Procaccino
Luca Giordino [sic]
Campi
Luvino
Giulio Romano
Carlo Antonio Rossi
Leonardo da Vinci
Gaudenzio Ferrari novarese
Brugora
Tempesta
Paris Bordone
L’Evangelista
Salvator Rosa
Villa
Rachetti
Ghisolfi
Monsù Giac
Vandich, e
Ambrogio Besozzi
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Oltre a molti altri pittori classici moderni, che vissero a’ nostri tempi, ed ancor vivono affaticando, che si lasciano per loro modestia.
Il fu sig. Carlo Maria Maggio professore insigne di belle lettere, che tanti anni con universale applauso esercitò l’onorata carica di segretario dell’eccellentiss. Senato di Milano, fenice de’ poeti italiani moderni, oltra le canzonette musicali, ed altre poesie liriche già stampate in Milano tra le sue opere postume in lode di quest’Isole, compose le seguenti iscrizioni, che stanno a caratteri d’oro in marmo nero sopra due porte de’ giardini della detta isola.
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VITTALIANUS COMES BONROMEUS
EX CONS. SECRETO M. CATHOLICAE
REI TORMENTARIEAE PRAEFECTUS GENERALIS
PROCURATOR GENERALIS CAESARIS IN ITALIA
INFORMIBUS SCOPULIS
SUBSTRUENS ET EXTRUENS
DIGNITATEM OTIIS MAIESTATEM DELICIIS
COMPARABAT
ANNO MDCLXXI
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Sopra un’ altra porta
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RENATUS BONROMEUS
ARONAE ET ARCIS SUE
SUMMI
ET SUBIECTARUM TERRARUM NOVARIENSIUM
LESIAE, VERGANTIS, VALLIS VIGLETII,
EUMENIAE, LAVENI, PALESTRI, STRISIAE,
FORMIGARIAE, GUARDOSINI [sic, per Guardasoni]
ET TRAVERSEDULI
COMES ET DOMINUS
ANNO MDCLXXI
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Dall’altra parte, dopo salite le scale, alla destra mano, si passa in altro quarto composto di più magnifiche sale, i cui volti si sostengono fintamente da dorati mensoloni figurati in statue, che dal peso fatte curve, immobile tengon la mole, simile a que’ vecchioni di sasso, che sostengono in fronte il palazzo dell’Aretino, vicino ad un laterale della Chiesa di S. Fedele di Milano, e misteriosamente quell’acuto cervello, fe’ dal suo architetto porre que’ uomini di pietra; poscia ne spiegò il suo pensiero, dicendo che simili erano i facendoni del secolo, i quali pare loro di sostener il mondo colle proprie fatiche, e questo si regge da se medesimo al cenno del Creatore, e che sia vero, morti che siano costoro, il mondo tuttavia si governa.
Quivi si vedono con ammirazione in regi gabinetti superbi origlieri, sì ben guerniti di preziose coltri, e da ogni altro fregio più maestoso, che la pupilla diviene estatica, e l’animo grandeggia tra le maraviglie.
Altri quarti composti a lunghe fughe di numerose stanze, sì ricolme di preziose pitture, ti fanno rinovar alla fantasia il palagio incantato d’Armida, il vero di Salomone, o le abitazioni delle Grazie ne’ loro dorati tabernacoli.
Altra non minor maraviglia mi si riduce alla memoria d’aver osservato ne’ quarti inferiori di lunghe fila di stanze, alcune delle quali non ancora terminate, perché sono lavorio di secoli, non d’anni, tutte composte, e fregiate a musaico perfetto da maestra mano contesto co’ minuti sassolini, che il disegno, tesoro dell’arte dettata dall’ingegno, e l’opera riccamata a dure pietruccie di vari colori, fanno inarcar le ciglia, e confessare rinovata l’età dell’oro, come il dono delle scienze più compite, con le quali si presentano all’occhio le vaghezze più rare, ombre fugaci degli eterni lumi.
Per altro è sì vasta la mole da tante parti inalzata, che il dir in esse vedersi sollevate molte gallerie, coperte da preziose fatiche de’ più celebri pittori, non è compiuto il numero; le statue, che sembrono parlanti, i fregi, gli addobbamenti, non è possibile spiegarli tutti.
Il comodo poi, che s’appresta al passeggero, arriva ad alloggiar con sodisfazione un monarca coll’equipaggio, tanto di notte per lo riposo, come sul dì per lo delizioso trattenimento; dandosi buon conto arrivar il numero delle stanze compite a cento, oltre alli dormitori per la bassa famiglia, ed oltre quelle, che con spese regie si continuano da numerose schiere di faticose genti coll’indrizzo, disegno, e comando de’ più dotti architetti, come al presente regge l’opera il sig. Filippo Cagnola celebre architetto collegiato. In proposito di che giorni sono, e siamo sul fine di giugno 1709, si ridusse all’atto quanto s’andò scrivendo; mentre ritrovandosi nella città di Milano di passaggio verso le Spagne la serenissima donna Elisabetta Cristina di Bransvic Vuolsempitel, poco prima sposata dal regnante imperadore a nome del fratello inclito Carlo III d’Austria nostro signore Re Cattolico, il cui real matrimonio fu trattato, ed assistito dal sig. cardinale di Sassonia, tenendo la regia sposa sublimi virtù morali, che con luminoso esempio edificano l’universo, come altrettando con ogni verità si può affermare della maestà dello sposo. Questa principessa non volle lasciar nel desiderio le tanto celebrate Isole del Verbano per tutta Europa, e donde nasce, fin dove tramonta il sole, che in persona non vagheggiasse co’ gli occhi propri la chiarezza di quell’acque, l’amene sue spiagge, i colli aprichi, e i fioriti giardini. Partì però sua Maestà da Milano il venerdì 23 giugno 1708, e fermatasi a pranzo nel nobile monastero de’ monaci cisterciensi, vicino a Parabiago, trattata con tutto l’equipaggio alla reale, la sera appresso, si portò avanti con poco disagio a Somma, ove ricevuta dalla grandezza del sig. marchese Cesare Visconti, cenò nel suo appolline villereccio, e prese i riposi della notte.
La mattina seguente, proseguì suo viaggio verso Sesto Calende, ove giunta, s’imbarcò su la foce del Tesino nella peotta più nobile di casa Borromea, e servita da altre cinque peotte, e molte navi da corteggio, solcò il placido Verbano, passando poscia per la fronte della fortezza d’Arona, distante cinque miglia da Sesto, fu salutata da quel castello con salva reale. Con simil onore fu compito dall’altro castello d’Angera, che rimpetto in distanza d’un miglio, le fa prospetto; come que’ due borghi a gara fecero risuonar i colli, ed i vicini monti tra li spari degli archibugi, e grossi mortari. Il medesimo fu fatto su le vicine riviere d’Arona fino alle isole suddette in distanza di miglia diece, tutti feudi di casa Borromea, come dall’altra parte del lago, ma con particolar attenzione da’ padri carmelitani di Santa Cattarina del Sasso Ballaro, che fecero alla coronata padrona immortal onore, dimostrandone così la loro somma divozione.
Giunta vicino ad Isabella un tratto di fiondata pietra, fe’ cenno si fermasse la peotta, e n’osservò il maestoso prospetto d’essa (idea di grande ingegno, che fu il mentovato sig. conte Vitaliano) che in ordine piramidale forma il piano d’alto monte, prima di sua natura altrettanto rozzo ed elevato, come dicemmo, quant’ora grandeggia ne’ fregi di vago teatro, ove ordinatamente ascendendo le statue, tramezati da nobili guglie di viva pietra, guerreggiano col Tempo, e lo vincono. I simboli, le piramidi, le loggie, di bianchi marmi, lavorati da maestre mani, e l’intreccio de’ vasi fioriti, mostrano la maestade in trono, l’umiltade inalzata, la ricchezza, che spande tesori, la pietà, che soccorre, la religione, che adora, la divozione, che contempla, la solitudine, che bea i cuori, e ‘l fasto reale, che invita il passeggero a dilettar le potenze.
Approdò dunque a que’ lidi sua maestà sabbato 23 giugno verso il mezzo dì, e posto il piede sul molo dell’Isola bella, fu ricevuta da’ signori conte Carlo, e Giovanni padre e figlio Borromei, e da monsignor Giberto fratello d’esso sig. conte Carlo, come dalla signora principessa donna Camilla, e signora contessa donna Cleria [
sic] consorti d’essi signori conti, ivi con lieti viva tra lo sparo de’ pezzi, ed al suono di molte trombe, si portò nel real palagio già descritto, ma con nuovi, e moltiplicati fregi più nobilitato. Il regale equipaggio di cavalieri, e dame, chi lo può distintamente descrivere? Il seguito era a turbe, e le tavole de’ commensali a numerose divise. Orilieri, e letti per tutti in distinti gabinetti, secondo le qualità de’ personaggi. S’imagini chi legge, se fu reale l’alloggio, mentre il quarto parato per sua maestà in ogni verso, e per tutte le parti, come la perla, risplendeva.
Ivi desinò il primo giorno all’armonia de’ musici, e suoni più eccellenti, dopo passeggiò, osservando, ed ammirando tante superbe strutture, e vide per tutta l’isola, diversi ordini di spalliere, vaghi, e nobilissimi viali, regi giardini, doppi prospetti per ogni parte sublimi. In somma quanto si può imaginare, di vago, d’ameno, di grande, e dilettevole, tutto all’opra si riconobbe.
Il secondo dì, si portò all’Isola Madre, e questa riconosciuta si ferace d’agrumi, stesi in lunghe spalliere, pendenti da verdi volte di lunghi porticati trionfi della nobile Pomona, viali, la cui continuata distanza stanca l’occhio, verdure, e fiori peregrini, quasi s’inamorò d’eleggerla per suo continuo soggiorno, perché ricca di sontuoso palagio, di regi passeggi, di boschi d’alloro, di stanze composte di lauri, sempre verdi d’ogni spezie di frutta, e fiori, ed in somma di tutto il desiderabile di vago villereccio da mente mortale, bea l’anime innocenti nell’Egitto di questo picciol Egeo.
Ritornata poi ad Isabella, ivi dopo aver desinato, di nuovo s’imbarcò sopra la stessa peotta, assistita dall’altre dette di sopra, e per lo stesso viaggio nuovamente servita da’ medesimi signori, che l’avean ricevuta nel venire, rientrò nella regia corte di Milano, ove di giorno in giorno, attende il proseguimento del suo intrapreso camino; però, se prima dicemmo, che quest’Isole erano capaci di ricevere con onore regi, e monarchi col loro grande equipaggio, eccolo posto in pratica.
Dopo d’essermi trattenuto in sì vago teatro di maraviglie passai alle riviere di
- A Cura di:
- [Carlo Alessandro Pisoni]
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