LIBRO I.
NOTIZIE DEL LAGO MAGGIORE
DAI TEMPI PIÙ REMOTI
SINO ALL’ESTINZIONE DEL REGNO DE’ LONGOBARDI
CAPO I.
Descrizione del Margozzolo.
A ragione la Geografia fu considerata mai sempre quale uno degli occhi più importanti della storia. Esibendo essa la fedele descrizione dei luoghi, che furono il teatro degli avvenimenti che la storia imprende a narrare, apparecchia la mente del lettore colla cognizione del terreno, sul quale dovrei quinci innanzi portare lo sguardo, a meglio comprendere gli avvenimenti medesimi e a giustamente apprezzarli secondo il loro valore. Perciò reputo necessario di premettere alla narrazione de’ falli la descrizione non solo del Lago Maggiore in generale, ma eziandio quella in particolare della regione, alla quale spettano i luoghi, che dovranno essere l’oggetto precipuo de’ nostri libri. Prendiamo quindi le mosse dalla descrizione del Margozzolo.
Quel tratto di paese, che a guisa di penisola giace tra il Lago d’Orta e il Maggiore, messi in comunicazione tra loro dalla Negoglia emissario del primo, non ha propriamente parlando alcun nome particolare. Esso è tutto occupato da un monte chiamato il Margozzolo e dalle sue appendici.
È questo un monte al tutto staccato dalle Alpi, vagamente distinto per varietà grande di gioghi e di avvallamenti. La parte di tramontana è tozza e ripida, formata da grandi masse granitiche le quali danno indizio della natura cristallina dei nucleo di tutto il monte. La parte di mezzodì dal fianco del Monterone,1 ch’è il giogo più elevato (alto metri 1468 sopra il livello del mare), scende divisa in due come schiere paratetici di gioghi schistosi, la più alta delle quali forma lo creste di quella regione, che si chiama il Vergante, bagnato alle falde dal Lago Maggiore; l’altra più bassa forma quella che dicesi Riviera, bagnata alle falde dal Lago d’Orta, e danno luogo all’incassatura di un valloncello, che dir potremo longitudinale e costituisce una terza regione, che chiameremo Montana. Questo valloncello è percorso dall’Agogna, volgarmente anche Gogna, fiume che diede sotto il cessato regno d’Italia al principio di questo secolo il suo nome ad uno dei suoi dipartimenti, ed il quale serpeggiando a mezzo tra le colline, si adagia nella pianura e mette foce nel Pò [sic].
Dai molti colli e poi valloncelli trasversali di queste due creste scendono dai due versanti maggiori ai laghi e dai due minori alla valle dell Agogna vani torrenti, che innaffiano tutto il monte e lo rendono fertile di ottimo fieno e fresco, ameno ed ombroso. I più importanti sono il Pescone, il Fiume2 e la Scoccia, i quali hanno tutti e tre la sorgente, come Agogna a piè del Monterone. I due primi scendono per un declive molto rapido con direzioni opposte, il Pescone nel lago d’Orta e il Fiume nel Lago Maggiore. La Scoccia poi, scendendo pel pendio più dolce verso mezzodì, quasi paralella per piccolo tratto all’Agogna, si volge poscia alquanto a levante, come quella a ponente e si scarica nel Lago Maggiore dopo di avere raccolte le acque della Crisana, che scorre nella valle di Carpugnino e quelle dell’Erno, che a questa da il nome sotto Brovello e viene dai gioghi del monte S. Salvatore.
È costante tradizione presso gli abitanti della regione montana, che la valle di Carpugnino o Carpignino, come anche volgarmente è chiamato, in congiunzione con quella di Graglia ancora più bassa, fosse in tempi molto remoti occupata tutta dalle acque della Crisana e di altri torrentelli, e formasse un piccolo lago, e, che poscia queste acque per un qualche scoscendimento traboccassero nel Lago Maggiore per la valle dell’Erno, menando de’ forti guasti sul territorio specialmente di Villa Lesa. In quale epoca ciò avvenisse, non mi fu dato di accertare. Gli abitanti di Graglia conservano tradizional-mente anche al giorno d’oggi il nome di quel Lago, detto da essi Machéo.3
Il Margozzolo poi, quale appendice delle Alpi, è considerato come una delle rocce primitive,4 ed offre ricca messe ai geologi ed agli amatori della mineralogia e della botanica.5
Quel tratto di terreno ch’è posto tra la Strona e Baveno costituisce la regione dei graniti propriamente detti di Baveno. Anche il monte Orfano, così chiamato per essere isolato da tutti gli altri circonvicini, posto alla sinistra del Toce, è della stessa natura granitica. Di questi graniti ve n’ha di più specie, cioè ordinarie con feldspato rosso mica nera, alcuni con abbondanza di quarzo, altri con feldspato rosso a grossi cristalli mica nera a larghe lamine e guarzo nero a grossi noccioli; quali a geode con feldspato bianco, quali in rosso pallido, in roseo, ecc.6 Ma la bellezza della specie rosseggiante la cui scoperta vuolsi attribuire da taluno a s. Carlo Borromeo, non è vinta che dal granito egiziano. Ha un grano duro che resiste all’azione dell’aria e dell’acqua, ed è suscettibile della più perfetta politura. Questo granito si chiama volgarmente miarolo o migliarolo, perché sembra composto di granellini. Una specie scadente di esso è detta anche sarizzo, nome che secondo l’Amoretti,7 trasse la sua origine dall’altro di pietre silicee, sotto il quale era conosciuto quel granito, che dai dintorni di Baveno si cavava per la fabbrica del Duomo di Milano fino dal secolo XIV. La Chiesa di S. Fedele, quella di S. Alessandro, la facciata del monastero delle religiose di S. Paolo, il collegio Elvetico fondato da S. Carlo e ultimamente il tempio dello stesso S. Carlo, oltre un gran numero di palazzi e di pubblici edifizii in Milano, sono decorati da colonne di granito tratte dalle cave di Baveno. Due di queste colonne si distinguono particolarmente per la loro magnificenza, e sono quella che ornano l’atrio interno presso la porta maggiore del Duomo suddetto di quaranta piedi di altezza sopra quattro di diametro.8 Dal monte Orfano poi, il cui granito è bianco, si trassero ultimamente le quarantadue colonne colossali pel celeberrimo tempio di S. Paolo fuori di Roma, dono munificentissimo di re Carlo Alberto.9
Nelle stesse cave, oltre ai graniti, si trovano grossi pezzi di cristallo di rocca, di feldspato bianco e corneo. Lo schisto micaceo-quarzoso seguita da Baveno a Meina ed occupa tutto le alture sino a Miasino verso il Lago d’Orta, a cui succede poscia il porfido quarzifero nello spazio compreso tra Arona ed Orta.10 Non lontano da Arona vi ha inoltre una cava di marmo bianco, della quale si servirono per la Chiesa Cattedrale di Pavia.11
Oltre alle cave di granito, «miniere di rame, scrive il Cav. Boniforti,12 di oro e di piombo si discopersero lungo la costa del Vergante, nei dintorni di Graglia e di Gignese fin da quando s’impresero i lavori e l’opera di scavi per la strada del Sempione. Una di tali miniere, non ignota agli antichi, come si può ravvisare negli esistenti avanzi di gallerie e manufatti a grande profondità, fu presa a coltivare ai nostri giorni (1863) da una potente società inglese. La lunghezza del filone primario è di circa tre metri, e corre quasi in contatto delle stesse masse granitiche di Baveno a traverso de’ schisti siluriani. «I filoni carichi di rame, scrive l’ispettore Perazzi in un suo Rapporto, si orientano con altri di piombo che sono nei dintorni di Brovello e dell’Alpe Agogna, dove per conto della stessa società s’impresero gli scavi».13
Esistono poi in questa stessa regione diverse torbiere, una delle quali già in esercizio fino dall’anno 1870, fu scoperta tra Calogna e Stroppino nel comune di Magognino in un fondo di Bartolomeo Picena. Un’estesa torbiera è ricordata pure dall’Amoretti (l.c. p. 54) tra la cava di Feriolo e Trafiume dietro la casa della prevostura, ma di una natura diversa dalle comuni, essendovi in essa indizio di parti vegetali, per cui è da ritenersi appartenere più alla lignite che alla torba. Della torbiera di Mercurago farò altrove parola.14
Nè è da tacere la scoperta, che si fece similmente in questi ultimi tempi di alcune sorgenti di acqua minerale, come è quella ferrugginosa presso Meina in riva al lago, la quale sgorga da tre polle tutte a breve distanza dall’abitato. Altra sorgente di acqua minerale alcalino-ferruginosa, chiamata della Pala, è alla metà circa della via, che conduce da Stresa a Baveno, spettante al comune del Chignolo, già analizzata dai professori Canda di Torino e Polli di Milano, e usata a quest’ora con profitto da molti. Quivi appresso essendosi trovata pure una sorgente .di acqua fredda dai sette agli otto gradi sopra lo zero, il sig. Carlo Ruffoni dell’Isola Superiore aperse un piccolo stabilimento per la cura idropatica, il quale d’anno in anno viene ognora più frequentato.
Si distingue in oltre il Vergante per una varietà grande di produzioni, delle quali è suscettibile il suolo, merce l’industria e la solerte cultura degli abitanti . Segala, grano turco miglio e panico, castagne, uve e fieno ne sono i principali prodotti. Si coltivano in molti luoghi anche i gelsi, ma più largamente la vite, sebbene l’una e l’altre di queste coltivazioni lasci ancora qualche cosa a desiderare. I pascoli poi danno carni eccellenti, e buoni sono il latte, il burro ed il cacio. Nella parte montana abbondano le castagne, ma vi scarseggia il grano. I vini più riputati sono quelli, che provengono dalle colline di Massino, di Belgirate e di Lesa.15 Quest’ultima è celebrata anche per la squisitezza delle sue pesche.16 In generale poi si può dire, che poche regioni, quelle intorno al Lago Maggiore, possono vantare tante produzioni naturali ad alimento dell’industria ed ai bisogni della vita; ce ne sono prova gl’innumerevoli stabilimenti ed opifici quasi in ogni paese. Ma di questo più opportuno cadrà altrove discorso.
E similmente osservano i fisici che tra le varie contrade d’Italia questa nostra Alpina, meglio forse di ogni altra, si presta ai diversi fini, cui mira la meteorologia. Laonde anche per questo vennero in questi ultimi anni fondati due osservatori meteorologici, l’uno in Pallanza diretto dall’ingegnere Modesto Buccelli e l’altro in Levo sul nostro Vergante, eretto a spese del Conte Guido Borromeo e posto sotto la direzione dell’egregio rettore di quella parrocchia d. Pietro dell’antica famiglia Ravelli di Valsesia; oltre ad una stazione pluviometrica stabilita nell’Isola Madre.17 E noterò qui essere frutto di queste osservazioni l’aver potuto rilevare, che a la contrada che di tutta Italia va riguardata la più piovosa di ogni altra, si è quella cinta dalle Alpi Lepontine, dal Monte Rosa, il Maloia, ed in modo speciale quella occupata dai Laghi e dall’alto bacino della Sesia e dei suoi affluenti.18
1 Non è improbabile che la voce Monterone sia una di quelle, che gli Etimologi chiamano ibride, perché composta di due vocaboli di diversa lingua, cioè dal latino Mons, monte, e dal celtico laur o taurn, che significa alta montagna; onde Monterone varrebbe lo stesso che monte-monte, o monte alto. V. il Walchenaer., Geographie ancienne des Gaules, Paris, 1839. T. I, p. 18. – Di tali voci abbiamo parecchi altri esempi in geografia: valga per tutti il notissimo dell’Etna in Sicilia, chiamato il Mongibello, cioè monte-monte, dalla voce Latina mons, e dall’araba ghibel, monte. – vi ha però chi spiega la voce Monterone anche per monte rotondo dalla figura, che esso presenta da lontano.
2 Mettono foce in questo, ch’è il principale, altri due torrenti chiamati il Ronco vecchio e il Rio di Riva, i quali con un solo vocabolo sono detti trefiumi. Al di là del primo giace una piccola terra detta Oltrefiume o Trafiume, ovvero Treffiume, voce composta (in Latino trans flumen), che significa al di là del fiume, rispettivamente a Baveno, ch’è al di qua partendo da Stresa.
3 Queste ed altre tradizioni sono state da ultimo diligentemente raccolte dal benemerito sacerdote Pietro Antonio De Stefani nelle sue Memorie storiche di Carpugnino e suoi dintorni sino all’anno 1871 che si conservano manoscritte, e delle quali ebbi comunicazione per la gentilezza del Molto Reverendo Rettore della Chiesa di Stroppino, d. Domenico Falciola.
4 Vedi il Lizzoli, Osservazioni sul dipartimento dell’Agogna, 1802 e i Cenni geologici di Giuseppe Gautieri presso il medesimo, nonché il Manuel du voyager en Suisse di I.G. Ebel (Vol. 4, in 8.o) pubblicati in Zurigo, all’articolo Lago Maggiore nel Vol. II, oltre ai più recenti che ricorderemo qui appresso.
5 Una flora speciale del Margozzolo è ancora un desiderio pei cultori della Botanica, per soddisfare al quale non ho creduto miglior consiglio di quello di rivolgermi ad uno ch’è in pari tempo decoro insigne del nostro Lago, al Prof. Giuseppe de Notaris, il quale si è gentilmente offerto di farla. Siccome poi essa non potrebbe capire in una semplice nota, la rimetterò in appendice al presente volume.
6 Veggasi la Raccolta dei graniti di Baveno nell’opera di Vincenzo Barelli: Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S.M. il re di Sardegna, Torino, 1835 dalla p. 419-425.
7 Nella sua opera: Viaggio da Milano ai tre laghi. Maggiore. di Lugano e di Como e nei monti che li circondano, di Carlo Amoretti, sesta edizione corretta e corredata di antichi monumenti e della vita dell’Autore del Dott. Giovanni Labus, Milano, 1824 in 16° alla pag. 53. – Si vegga anche il Gioia, Statistica del dipartimento dell’Agogna, Milano, 1812 e l’opera più recente del De-Bartolomeis, Notizie topografiche e statistiche degli Stati Sardi, Torino, 1843 in 8°, libro II; vol. III p. 730 e segg. e altrove – Noterò poi che tra Domodossola e Vogogna si cavano in molti luoghi le migliori rocce cristalline stratiticate, conosciute a Milano, nonché alle nostre parti, sotto il nome di beole o bevole, dal nome del villaggio Beola o Bevola, presso il quale sono le cave più rinomate.
8 Alla costruzione di questo nobilissimo tempio fu precipuamente usata la celebre cava di Candoglia e di Albo al Nord-Ovest di Mergozzo, che fu donata espressamente a quest’uso dal duca Giangaleazzo Visconti. Il nostro venerabile Carlo Bescapè, Vescovo di Novara dal 1593-1615, la cui erudizione per quei tempi è ammirabile, cosi ne parla nella sua Novaria, seu de Ecclesia Novariensi, libri II (Novariae, 1612 in 4.° picc.) alla pag. 203: «Album cum Candolia nomina fortasse a candore marmoris solidissimi sunt indita, quod ibi, exciditur […], est enim in monte impendente insignis lapicidina; unde marmor, quod parium dici potest, fabricae ecclesiae maioris Mediolani supeditatur». Di quest’insigne prelato tesseva teste l’elogio il Prof. Pietro Zambelli, ricorrendo in Novara la festa scolastica del 17 marzo 1874, che fu pubblicato l’anno stesso in Vigevano.
9 Furono spedite a Roma l’anno 1827. - Altre colonne poi grossissime tratte dal monte Orfano, insieme con alcune tolte dalle cave di Baveno per l’atrio della stessa Basilica furono donate da S. M. il re Vittorio Emmanuele e spedite in Roma l’anno 1868.
10 Vedi le Osservazioni mineralogiche e geologiche del Cav. Angelo Sismonda nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Ser. II, T. 2, p. 21-24 e altrove. - Ciò poi che si dice in particolare del Margozzolo, si potrebbe ripetere in generale di più altre regioni, lungo la sponda del nostro Lago: «La punta di Ranco, a cagion d’ esempio, è formata di un duro sasso arenario stratificato, e la rena, ond’è composta, mostra sovente dei giacinti e del titano: per la qual cosa quel sasso, che prende un bellissimo pulimento quanto un bel porfido, ha un’azione positiva nell’elettrometria» Così l’Amoretti, l.c., p. 93.
11 Noterò pure che nel territorio di Invorio e presso Oleggio Castello trovasi abbondante il caolino, terra friabile infusibile, composta di silice e di allumine, che si usa nella composizione di porcellane e terraglie fine, e che presso Arona, si hanno fornaci di calce in considerevole quantità, per non dir nulla di quelle di Porto VaI Travaglia, di Ispra e di Angera sull’opposta sponda.
11 Nel suo Lago Maggiore pubblicato in Milano l’anno 1870 in 8.° picc. p. 36.
12 La miniera di piombo quivi accennata è a mezz’ora circa da Gignese nella valle dell’Agogna. - Gioverà anche avvertire che tra i minerali accessorii del granito di Monte Orfano venne ivi osservata ultimamente anche la prenite, e tra i metalliferi la galena argentifera di Monte Piombino sul Margozzolo e la pirite ramifera di Baveno. Nè è straniero alle sponde nostre l’amianto o asbesto, trovandosi in qualche abbondanza in Val Maggia.
14 Torbiere furono scoperte anche altrove non lungi dal nostro Lago. Tra le molte che spettano alla riva così detta Lombarda nel Varesotto, ricorderò quella molto estesa, ricca e profonda di d. Carlo Tinelli, sindaco di Laveno, nel territorio di Mombello, ed in attività sino dall’anno 1869. Sotto l’ultimo strato di questa si trova nn deposito di marna, utilissimo alla fecondazione delle terre. – È però cosa notevole come in questi ultimi anni soltanto si sia pensato di usare della torba, mentre, scrive il Brambilla nell’opera che citerò appresso alla pag. 28, una Cronaca manoscritta antica, conservata nella Biblioteca Ambrosiana, fa menzione di terra nigra ad focum faciendum optima.
15 Si leggano a questo proposito la relazione del dott. Fisico De’ Vecchi, stampata in Novara l’anno 1787 e l’Autore delle Note al Mitterpacher, pubblicate in Milano l’anno 178A (T. 2).
16 Veggasi l’operetta del Cav. Emmanuele Uherto Visconti, che ha per titolo Della coltivazione del Persico e della sua produzione, Torino, 1828 in 8.° Enumera egli qui le varie specie di pesche distinte dagli abitanti di Lesa con diversi nomi; per esempio le pesche della flotta, ossia della moltitudine, le pesche di S. Giacomo, perchè maturano intorno al tempo della festa di detto santo, il Mergozzino, ecc.
17 La fondazione di questi osservatorii è dovuta alla società, chiamata con Vocabolo straniero Club Alpino, istituita fino dall’ anno 1803 dal Commendatore Quintino Sella e compagni; la sua sede è in Domodossola, dove parimente fu fondato un osservatorio diretto dal Prof. Giuseppe Calza, ed in Intra. - Altra stazione pluvionietrica fu stabilita poi in Cannobio nella casa del Senatore Antonio Giovanola.
18 Così il p. F. Denza, direttore dell’osservatorio del R. Collegio Carlo Alberto in Moncalieri nella sua Memoria sulla distribuzione della pioggia in Italia nell’anno meteorico 1871-72 pubblicata in Torino negli Annali della R. Accademia di Agricoltura. Una conferma poi di queste osservazioni l’abbiamo nelle pioggie torrenziali, che infestano di frequente le sponde del nostro Lago. Prova ne sia quella dello scorso ottobre (1873), che per tacere di tanti altri danni recati ai luoghi contermini, devastò buona parte della campagna di Stresa, rovinò strade, rovesciò ponti, e colmò i torrenti Crè, Pizzo e Fiumetta, che precipitosi correvano al Lago, di arena e di sassi de’ quali copersero altresì le vie invadendo anche parecchie case, con grandissimo spavento degli inquilini. A memoria d’uomo non s’era vista somigliante rovina, né concepito tanto terrore: solo qualche cosa di simile si rammentavano alcuni nel 1827, ma soltanto rispetto al torrente Crè. Si possono consultare intorno a questi osservatorii anche il Riassunto del medesimo p. Denza delle osservazioni meteoriche eseguite nelle stazioni presso le Alpi Italiane nell’anno 1872-73 pubblicate ivi stesso; e la Circolare e Norme per le osservazioni meteoriche pubblicate dal ministro Torelli in Torino l’anno 1865 e gli Atti del Club Alpino.
- Autore:
- [Vincenzo De Vit]
- A Cura di:
- [Carlo Alessandro Pisoni]
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