9. D. Omobono Melina
La veneranda figura di D. Omobono mi sta sempre riposta nella mente. Il suo volto, sebbene portasse le traccie del vaiuolo, era così grazioso e il suo ammiccar d`occhi sì tenero, che in un subito ei si conciliava il rispetto e la confidenza di chi praticava secolui. Arroge poi una voce delicata, e un portamento composto a gravità: ed egli ti si presentava un vero ministro del Signore, un uomo giusto e incapace di far male a chicchessia. Esio provò la fortuna di averlo per ben ventidue anni (1830-1852) dispensatore dei divini misteri, consigliere efficace e modello di tutte le virtù.
Alle altre sue doti agriiingeva quella di maestro dei ragazzi del paese e di educatore di alcuni giovinetti intresi, cui teneva in pensione in casa propria. Egli era severo coi ragazzi, intimamente persuaso che la verga è parte integrante d`una vera e soda educazione: ma non oltrepassava i limiti d`un giusto rigore, studiandosi di accaparrarsi colla debolezza I’affetto dei suoi scolari.
La saletta della sua casa formava la scuola. Quella saletta, dopo 40 anni, è ancora ammobigliata come a` suoi tempi. Gli stessi armadii, lo stesso camino, lo stesso tavolo circolare, attorno a cui studiavamo. Dico
studiavamo, perché fui nel numero dei suoi scolari e posso [
segue una riga illeggibile nella copia a disposizione della trascrittrice]. Povero D. Omobono! Quand`ei mi vedeva, era solito dirmi: «Sei qui, Brusino?» Una sola volta mi picchiò le dita colla riga, e fu quando, un inverno, seguii un compagno fra la neve, invece di recarmi a scuola. Un dì i miei compagni gli rubarono dei dolci da uno degli armadii: ma io, per quanto pressato, non volli far comunella con loro. Egli lo seppe e mi chiese: «Brusino, perchè non toccasti i dolci?» - «Nol feci, risposi, prima di tutto perché il rubare è peccato, e poi perché, se venisse a sapere mia zia Giacomina (sorella di mia madre e ancor vivente) che ho rubato, mi fa saltar via le unghie col falcetto».
Un inverno (quello del ‘48 al ‘49) fui preso da terribile punta, e, sebbene in età di soli otto anni e mezzo, fui viaticato da lui, parendogli essere io bastantemente istrutto e in vero pericolo di morte. Mirabile in tale occasione l`incontro di mia madre con lui. Ella era venuta fin da Milano per assistermi. Da Intra la povera donna veniva a piedi in mezzo alla neve fino ad Esio, persuasa ch`io non morrei, se mi avesse trovato ancor vivo. E sulla piazza. della Chiesa vede il Curato, che torna dal mio capezzale... «Oh, signor Curato! e mio figlio?» - «Vive ancora, ma per poco» - «Vive ancora? Ei non morrà...» E così avvenne. Dio volle premiare la sua fede e l`amor suo materno.
D. Omobono rinunziò alla parrocchia di Esio ed [
segue una riga illeggibile nella copia a disposizione della trascrittrice] […]cato da lui i istituito, il cui titolare al presente è il sac. D. Domenico Canaveri. Godeva assai quando io lo visitava nelle vacanze e sovente ripeteva ai Canonici. additandomi ad essi: «Fra tanti, che studiarono sotto di me, questo solo seguì la mia carriera. Ei moriva nel 1862, nell`anno, in cui lo scrivente fu ordinato sacerdote.
D. Omobono, amato maestro, salve! I tuoi virtuosi esempi saranno per me e pe` miei scolari un eccitamento continuo ad operare il bene.
- A Cura di:
- [Veleda Bignami]
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