STRUMENTI CULTURALI

del Magazzeno Storico Verbanese

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Denominazione:
Breve Abstract:
V. De Vit, Il Lago Maggiore..., Vol. 01 p. 1 - Cap. 07 - Origine prossima dei Leponzii e donde e quando venuti ad abitare sul nostro Lago
Abstract:

Questa ricerca tuttoché scabrosa e difficile, come sono tutte quelle che si rapportano alle origini dei popoli, ci porterà nondimeno ad acquistare una maggiore cognizione dei Leponzii, che non si potè avere dai miseri cenni, che di essi abbiamo veduto sinora. Gioverà soltanto osservare sulle tracce di Plinio, che tanto gli Insubri, quanto i Vertacomacori e i Libicii, ch’egli ci attesta venuti, quelli dal paese de’ Voconzii, questi dai Salluvii, sono scesi dalle Alpi in Italia dalle prossime Gallie, e che quanto all’origine sono perciò comunemente chiamati Galli o Celti. Dubbia all’incontro è l’origine dei Salassi e dei Taurini. Questi secondo Plinio e Strabone ai luoghi citati sono di razza Ligure, la quale in remotissimi tempi sembra che si sia distesa in tutta la pianura lungo le Alpi da questo lato d’Italia sino al Ticino, e che mescolatasi da poi coi Celti venuti dalla Gallia, abbia dato luogo alla denominazione di Celtoliguri, colla quale furono chiamati alcuni di questi popoli. I Salassi poi secondo Catone appresso Plinio sarebbero stati Taurisci, mentre i popoli della valle del Rodano superiormente ai nostri, e che tenevano la sommità delle Alpi ci appaiono e generalmente sono tenuti di razza Germanica [i]. Diversi infine da questi sono riputati i Leponzii, di razza secondo Carone appresso Plinio Taurisca.

È noto che Catone, nel secondo libro delle sue origini, si era proposto di ricercare donde fosse provenuta ogni cittadinanza Italica (unde quaeque civitas orta sit Italica), ed osserva giustamente il Promis (l. c. p. 9), aver lui dato mano a questo lavoro, quando le tradizioni storiche erano incorrotte, cioè quando i Greci scrittori, per boria nazionale, non le avevano peranco alterate colle preconcette loro opinioni [ii]. Ora è appunto in questo secondo libro, nel quale, esaminate le origini delle popolazioni dell’Italia superiore, avrebbe detto appresso Plinio, essere i Leponzii di stirpe Taurisca: Lepontios Tauriscae gentis idem Cato arbitratur.

Io non intendo in questo luogo di farmi a discutere sul valore delle opinioni, che avevano i Latini e i Greci scrittori intorno alle origini degli antichi popoli, e dei criterii da loro in questo seguiti. Volendo esaminare e questi e quelle si troverebbero spesso discordi tra loro, come discordi egualmente si trovano tra loro i recenti, che si fecero ad interpretarli ed esporli. Ned è meraviglia. Noi che siamo distanti da loro e dalle cose, che ci descrissero, più di due e tre mille anni veniamo ora a sapere o per discoperte fatte o per sussidii di nuovi studii, che punto non avevano, ciò ch’essi al tutto ignoravano. Non è dunque su questo terreno, che porto ora le mie ricerche nella presente questione: ché non si tratta qui di sapere se Catone o Polibio, o qual altro scrittore si voglia, abbia detto il vero affermando l’origine di questo o di quel popolo; ma sì di sapere, quale nettamente fosse la credenza loro, e quale di conseguenza la credenza de’ contemporanei, che dietro loro scrivevano, parlavano e ragionavano. Perocché questo, e non altro ci può servire di guida nella presente bisogna.

Ora sapendo noi che Catone opinava essere i Leponzii di razza Taurisca, vediamo qual lume ci possa venire da questo, per una cognizione ulteriore di esso popolo sì poco da noi conosciuto con questo suo nome particolare.

Abbiamo veduto che Polibio, il quale terminò la sua storia intorno all’anno 609 di Roma (145 prima dell’era volgare) un trenta e più anni dopo che Catone aveva scritto i suoi libri delle Origini, che si stimano vergati entro gl’anni di Roma 580-586 (av. Cr. 174-168), chiama appunto Taurisci gli abitanti del nostro versante in opposizione ai Transalpini, che abitavano nell’altro luogo lungo la valle del Rodano.

La sola differenza dunque che passa tra Catone e Polibio, è che l’uno chiamava questo popolo col nome particolare, affermando però la sua provenienza Taurisca, mentre il secondo gli appella senz’altro  Taurisci col nome comune a tutti i popoli della stirpe. Amendue con ciò li riconoscono per Taurisci, ma il secondo anche come tali li chiama; non si potrà quindi negare, che per tali anche fossero riconosciuti dai loro contemporanei; senza che per questo cessassero di essere ritenuti della medesima stirpe più altri popoli, come a cagion d’esempio i Salassi secondo Catone [iii].

Non basta. I Taurisci secondo il medesimo Polibio erano ai suoi giorni distinti in due grandi divisioni, cioè in Taurisci propriamente detti, e in Taurisci Norici. I primi sono da lui ricordati nel luogo, che abbiamo già riferito, e in qualche altro, che vedremo in appresso, i secondi in un frammento serbatoci di lui da Strabone. Questi nel libro IV dell’opera citata, al cap. VI, §. 12 scrive:

«Inoltre dice Polibio, che al suo tempo, specialmente presso Aquileia nei Taurisci Norici (έν τοίς Ταυρίσκοις τοίς Νωρικοίς, ch’è quanto dire in quelli chiamati Norici), si ebbe a trovare oro in così grande abbondanza, che scavandosi la terra a due piedi di profondità, tosto si presentava oro fossile [iv]

È chiaro adunque da questo luogo, che altri erano i Taurisci che secondo Polibio abitavano nel versante delle nostre Alpi, ed altri quelli che abitavano non lungi da Aquileia, vale a dire ai confini di essa, cioè in una regione limitrofa [v]. Ai tempi dunque di Polibio erano così chiamati e tra loro distinti questi popoli, che quantunque di una medesima stirpe, vivevano separati l’uno dall’altro per mezzo della Rezia, ad essi frapposta.

L’affermazione poi di Polibio è confermata da Strabone stesso, il quale poco sopra (al §. 9) aveva scritto, che presso il seno del mare Adriatico e nei luoghi limitrofi ad Aquileia abitavano alcuni dei Norici (Νωρικων τέ τινες), vale a dire qualche tribù dei Norici; e soggiunge poi che dei Norici sono anche i Taurisci (τών δέ Νωρικων εισι καί οι Ταυρίσκοι); il che dimostra, che questo nome di Norici era già divenuto popolare; e che l’aggiunta fatta da Strabone era per ispiegare, che questi erano della stessa stirpe dei Taurisci, che tenevano la regione chiamata da essi Norico. Norici dunque in quell’epoca era il nome comune dei Taurisci. E difatto Cesare stesso, che scriveva medio tra Polibio e Strabone, chiama Norica di nazione una delle due mogli di Ariovisto (I, 53 de Bell. Gall.) e Norico l’agro occupato dai Boii, che espugnarono la città di Norcia, capitale dei Norici; e Plinio, che scrisse dopo di questi, espressamente afferma, che quelli che un tempo si chiamavano Taurisci, ora sono detti Norici (Iuxtaque Carnos Taurisci appellati, nunc Norici); indizio evidente che la denominazione di Taurisci al tempo di Plinio aveva ceduto il luogo a quella di Norici. Norici dunque erano i Taurisci non solo nel Norico propriamente detto, ma anche fuori di esso; come nell’agro contermine ad Aquileia. Ed anzi, se dobbiamo prestar fede a Floro, che scrisse alquanto dopo di lui, ma fu suo contemporaneo, Norici erano chiamati in generale gli alpigiani del settentrione d’Italia, onde Guerra Norica egli intitolò quella, che Druso fece contro i Breuni e i Vindelici  [vi].

Dietro questo criterio possiamo spiegare di quali Norici intendesse parlare Silla nei suoi Commentarii citati da Plutarco, ovvero Plutarco stesso nella Vita di Mario (cap. XV), allorché disse, che i Cimbri si accordarono coi Teutoni di passare superiormente le Alpi per scendere in Italia aprendosi la via di mezzo ai Norici (διά Νωρικων άνοθεν); mentre i Teutoni si sarebbero avviati in Italia per le Alpi inferiori lungo il mare tra i Liguri (διά Λιγΰων παρά θάλατταν). Ho dimostrato nella Dissertazione sui Cimbri e sulla via tenuta da essi per calare in Italia [vii] che quei popoli non potevano essere che i Leponzii, detti Taurisci da Polibio e Norici da Plutarco o da Silla. Per non ripetere le cose dette, rimetto a quella il Lettore, e conchiudo risultare abbastanza chiaramente dal sin qui detto, che Norici era divenuta in un dato tempo l’appellazione comune dei popoli Taurisci, sia che abitassero le Alpi orientali presso Aquileia, o le superiori oltre le retiche nel paese chiamato Norico, ovvero le nostre tra le Retiche e le Pennine: mentre in età posteriore questo nome di Norici divenne esclusivo di quelli oltre i Reti, e i nostri furono quinci innanzi appellati Leponzii, come appresso nuovamente vedremo, dal nome particolare della propria loro tribù.

Ma da ciò stesso altro guadagno possiamo dir di avere fatto, perché dal raccolto di Floro (III, 3, 18), che chiama Norici i colli, sui quali quasi in sussidio si erano accampati i Tigurini, alleati de’ Cimbri, e dal sapere che la battaglia fatale a questi fu combattuta alla destra della Sesia nell’agro Vercellese e in una pianura non lontana dai colli; e più dal conoscere che Silla stesso dopo quella memoranda giornata, corse ad attaccare quelli ch’erano sui colli prossimi, come ho riferito nella citata Dissertazione, appendiamo eziandio che il territorio dei Leponzii, allora chiamati Norici, si estendeva a mezzogiorno a tutta quella catena di monti che cingono superiormente l’agro Vercellese e che si protendono sotto il monte Rosa da Biella sino a Gattinara quasi in linea retta, e che poscia da Romagnano elevandosi per Borgomanero raggiungono il Margozzolo.

Conosciuti in questo modo alquanto più i nostri Leponzii possiamo ora in risposta alla fatta questione affermare la provenienza loro, cioè ch’essi venendo dai Taurisci, e questi dall’Illirico, i nostri pure dovettero venire dall’Illirico. Nè da questa provenienza dissente Strabone, che nel luogo citato dichiara, essere i Leponzii della medesima stirpe dei Reti: diversi quindi da quelli, che abitarono le Alpi opposte alle nostre. Sicché possiamo a buon diritto conchiudere, che le sponde del nostro Lago furono in tempi storici popolate per lo meno da due popoli di razza diversa, l’uno de’ quali provenne dall’oriente e l’altro dall’occidente. Io credo, che questa distinzione sia un vero guadagno fatto alla storia dei nostri luoghi [viii].

Rimane ora di rispondere al quando: ma pure a questo quesito non è difficile di dare una soluzione abbastanza soddisfacente.

Abbiamo veduto che le popolazioni al mezzogiorno dei nostri Leponzii, erano venute a stabilirsi colà dalla Gallia. Ora ci consta che altri popoli dopo di esse di là pur trasmigrarono nelle nostre contrade. Racconta Livio (V, 34), che regnando in Roma Tarquinio Prisco (dall’anno circa 594-578 av. Cr.) un turba numerosa di popoli di razza celtica, Biturigi, Arverni, Senoni, Edui, Ambarri, Carnuti, Aulerci, sotto la condotta di Belloveso, usciti dai patrii confini in cerca di nuove sedi, valicate le Alpi, è incerto se Cozzie o Graie, attraversarono l’odierno Piemonte, e scontratisi al Ticino cogli Etruschi, che sino ad esso pare avessero esteso allora il loro dominio, e sbaragliatili, passarono oltre a quel fiume. Quivi udito che quello era luogo abitato un tempo dagli Insubri colà provenuti dalle Gallie pur essi e dal paese degli Edui, presolo qual augurio felice, ancor essi risolsero di stabilirsi costì e di fondare una città, cui chiamarono Mediolano, oggi Milano [ix].

L’esempio di Belloveso fu poco appresso seguito da un altro avventuriere, Elitovio, duce dei Cenomani. Questi col favore di lui, valicate egualmente pel medesimo tratto le Alpi, si diressero oltre gli Insubri nel territorio un tempo dei Libui, presero stanza là dove ora sono Brescia e Verona. Appresso altra mano di Galli, erano questi i Salluvii, passate le Alpi vennero ad adagiarsi nel territorio che giace intorno al Ticino, appo l’antica dei Levi Liguri. Da ultimo sopravvennero i Boii e i Lingoni. Costoro, varcate le Alpi Pennine, e trovato già il territorio tra esse ed il Po tutto occupato, tragittato su zattere questo fiume, e scacciati gli Etrusci non solo, ma eziandio gli Umbri, si stabilirono tra l’Appennino e l’Adriatico [x]. Arrestiamoci a questo punto e consideriamo.

Tutte queste trasmigrazioni si possono calcolare avvenute, sulla scorta di Livio, a poca distanza l’una dall’altra, entro gli anni del regno di Tarquinio Prisco e di quello di Servio suo successore, cioè entro la prima metà del secolo VI, innanzi l’era volgare. È poi notevole, che queste emigrazioni non si arrestarono punto sul nostro territorio alla destra del Ticino se si eccettui quella, che deve essere stata la più scarsa dei Salluvii, che presero stanza presso i Levi Liguri lungo il Ticino inferiore, nella Lomellina; ma passarono oltre per la ragione, che lo trovarono tra il Po e le Alpi già tutto occupato. Sicché l’una invase l’antica Insubria alla sinistra del Ticino, l’altra si spinse ancora più innanzi nell’agro Bresciano e Veronese, rispettando così quello superiore degli Orabii, che tenevano Como e Bergamo, e che rimase quindi interposto tra gli Insubri ed i Cenomani; per non dire nulla dell’emigrazione dei Boii e dei Lingoni, che varcato il Po si adagiarono tra il mare e l’Appennino. Tutto questo ci prova, che la pianura lungo le nostre Alpi era già da pezza stata occupata dai Salassi, dai Libicii e dai Vertacomacori, che tenevano Aosta, Vercelli e Novara dalla Dora Baltea al Ticino.

Non possiamo, è vero, fissare l’epoca precisa della venuta di questi primi, ma ben possiamo dal racconto stesso di Livio, che ricorda e il territorio degli Insubri antichi già invaso dai Tusci e i Libui già tempo scomparsi dall’agro Bresciano e Veronese, che essi dovettero avere occupato il detto territorio molto prima, o certo essersi trovati costì contemporaneamente ai Libui ed agli Insubri primitivi; altramente questi scacciati dai Toscani, non avrebbero pensato di rivalicare le Alpi, ma si sarebbero collocati alla destra del Ticino alle radici delle Alpi, o tra esse stesse nelle valli contermine, se le avessero trovate spoglie di abitatori: la qual cosa ci porta di natural conseguenza a stabilire la venuta prima dei Galli nelle nostre contrade uno o due secoli innanzi alle emigrazioni dei secondi. Per lo che, se non erro, possiamo quindi conchiudere, che tutto il nostro territorio sia nella parte superiore tra le alpestri regioni, sia nella parte inferiore a mezzogiorno del Lago e all’occidente di esso era già stato occupato sino al secolo VIII, innanzi l’era volgare, se fors’anco non prima. E questo può bastare per tutta risposta al proposto quesito.

Potrebbe qui alcuno richiederci in che poi consistesse la differenza da me rilevata tra i Leponzii e i popoli di razza Gallica loro limitrofi a mezzogiorno. Ed a questo, confesso il vero, non sono in grado di rispondere. Dirò questo solo che le conghietture fatte sotto questo rispetto, ma in più vasta scala, sono molte secondo i varii sistemi seguiti dagli eruditi, e che difficilmente si potrebbe venir in chiaro di ciò per mancanza di dati certi, su cui poggiare. Qualche tentativo fu fatto a nostri giorni anche dietro l’esame dei nomi locali, sola reliquia, che si potrebbe rimastaci della lingua di queste antiche popolazioni. Sotto questo rispetto va giustamente lodato il Prof. Giovanni Flecchia nella sua dissertazione linguistica: Di alcune forme de’ nomi locali dell’Italia superiore (Torino, 1871, in 4.°).

In questa egli prende ad esaminare i nomi dei luoghi, che hanno una delle quattro desinenze più notevoli, quali sono i termini in ago, asco, ate ed engo; desinenze che a ragione da lui sono tenute suffissi e non vocaboli, come altri di alcuna di esse opinarono. La prima di queste egli crede che ci appalesi un’origine celtica, la seconda più propria dei Liguri; la terza proveniente dalla finale ato dei Latini, mutata dal volgo in ate, e la quarta di origine teutonica, o come la chiamerebbe Longobardica-Francica.

Ma il lavoro del Flecchia, lasciate anco stare le eccezioni che può soffrire per l’alterazione de’ nomi stessi nel decorso de’ secoli, il lavoro, diceva, del Flecchia non abbraccia tutti i nomi locali che si trovano intorno al nostro Lago, e molto meno quelli che sono proprii della regione occupata dai Leponzii; ed anzi, attenendoci a quelle sole desinenze, si potrebbe anche dire, ch’egli colle sue osservazioni ci avrebbe fatta ancor meglio notare la differenza che corre tra i popoli a mezzogiorno dei Leponzii e questi stessi, poiché al paragone pochissimi sono i nomi con quelle desinenze tra i luoghi del territorio di questi, e molti sono al contrario quelli, che se ne discostano, come potrà agevolmente accorgersi ognuno, che voglia ad uno ad uno trascorrerli. E dicasi lo stesso dei monumenti scritti o degli oggetti in questi ultimi tempi rinvenuti. Benché possa dirsi che nè anco questi ci offrono un argomento positivo, tuttavia il sapere, che essi sono giudicati celtici dagli intelligenti, e che tutti, sebbene pochi sinora di numero, furono trovati o alla destra del Lago, o a mezzogiorno di esso nel Novarese inferiore, e niuno di quel genere nel territorio dei Leponzii, si può tenere quale un indizio probabile della loro differenza. Tra i monumenti accennati, si annoverano le poche iscrizioni celtiche o frammenti di esse, trovate nel canton Ticino alla destra del Lago [xi], o al di sotto di esso nell’agro Milaneso presso Sesto Calende, dove fu scoperta una tomba, entro la quale erano alcuni oggetti, che si ritengono dal Biondelli anteriori alla conquista fatta dai Romani di queste nostre contrade[xii], oltre ad una iscrizione rinvenuta non ha molto, nel Novarese[xiii].

Tali sono le memorie, che abbiamo potuto o saputo raccogliere dei popoli stanziati da remotissimi tempi sulle sponde del nostro Lago innanzi alla conquista fatta di essi dalle armi Romane.

 



[i] Semigermani sono chiamati da Livio, XXI, 38. Utique quae ad Peninum ferunt obscaepta gentibus Semigermanis fuissent, etc.

 

[ii] Per offerire anche di questo un qualche esempio, mi si conceda di chiamare domestico, i Greci scrittori trovando che il nome del Gran S. Bernardo si chiamava Penino, corsero tosto ad affermarlo così chiamato dai Poeni passati di là per venire in Italia sotto la condotta di Annibale, come Graie dai medesimi si argomentarono che fossero dette le Alpi valicate dai Graii, ossia Greci, compagni di Ercole (V. Plinio al l. c. ); di che sono giustamente redarguiti da Livio (XXI, 38): eo magis miror, ambigi, quanam Alpes transierit (Annibal), et vulgo credere Poenino – atquae inde nomen ei iugo Alpium inditum – transgressum. E per la stessa ragione trovato che il nome dei Leponzii si può dedurre comodamente dal verso greco λείπω, abbandonare, lasciare, non dubitarono di dirli così chiamati dai compagni di Ercole, che nel passaggio di quelle montagne nel rigore del verno, furono colà abbandonati, abbrustolite essendo le loro membra pel gelo delle nevi (V. Plinio al l. c.). – In non dissimigliante maniera ragionando alcuni de’ nostri e vecchi e recenti scrittori, dal nome Oscela, col quale abbiamo veduto essere stata in antico chiamata la capitale dei Leponzii, ora Domodossola, non si peritarono di dire, che la Valle dell’Ossola e le contermini furono in antico abitate dagli Osci, colonia Toscana (Osci, a quibus Oscela), e questo sulla fede di un impostore, ch’essi ebbero la bontà di credere fosse Catone. Veggasi tra gli altri il Borri nella sua: Breve descrittione dell’origine dell’Ossola et antichità della casa Losetta cavata da diverse storie antiche ecc. Milano, 1666, in 4.° e il Dott. Carlo Cavalli: Cenni statistico-storici della Valle Vigezzo, Torino, 1845, in 8.° T. I, p. 99, 100.

 

[iii] Sostiene il Promis nell’opera cit. p. 8 e segg. che i Taurisci fossero una cosa stessa coi Taurini, e trova di questi sei diverse tribù. Anche il Iordan nei Prolegomeni alle origini di Catone (M. Catonis propter librum de re rustica, quae exstant, Lipsiae, 1860, p. XXXVII e segg.) opina che Polibio in un luogo (II, 15) chiami Taurisci quelli, che in un altro (III, 60) dice Taurini, e dissente perciò da Niebuhr, il quale nella sua Storia Romana (II, pag. 599 ed. 2.a) segrega i Liguri taurini dai Taurisci Galli. Ma qui si entrerebbe nel campo delle discussioni, e questa, ripeto, non è la mia questione, e vo innanzi.

 

[iv] ‘Ετι φησί Πολύβιος έφ’έαυτοϋ κατ’Ακυληίαν μάλιστα έν τοϊς Νωρικοϊς έυρεθηναι κ. τ. λ.

 

[v] Ho interpretato l’espressione di Polibio κατ’ ‘Ακυλμίαν non di un luogo prossimo alla città stessa, ma di un luogo in confine col suo territorio, e quindi al di là dell’altro versante delle Alpi opposto a quello di Aquileia; rilevandosi poco dopo da Strabone medesimo, che le miniere che Polibio scrive essere stati al suo tempo dei Taurisci Norici, a quello invece di Strabone erano già venute in potere dei Romani (αλλά νϋν άπαυτα τά κρυσεϊα υπό ‘Ρωμαίοις εστί), la qual cosa appunto ci manifesta che quelle miniere erano in territorio diverso da quello di Aquileia, qual che poi ne fosse il limite preciso.

 

[vi] Bellum Noricum si legge nel titolo del capo XXII, del libro II, dell’edizione di Floro fatta dall’Halm, mentre manca nelle vecchie edizioni, e Norcis animos Alpes dabant, quasi in rupes et nives bellum non posset ascendere scriveva al principio di questo capo. Ma ritornerò su questo luogo più avanti.

 

[vii] Sarà ripubblicata nel Volume III di questa Collezione.

 

[viii] Con tutto ciò non intendo di definire quello che appo molti è ancora in quistione: poiché v’ha chi generalmente giudica tutte queste nostre popolazioni sia che provenissero dall’oriente, ovvero dalle Gallie, di razza celtica, comprendendo sotto il nome di Taurisci tutti indistintamente i Galli abitatori dei monti, tanto Cisalpini quanto Transalpini; e mi limito unicamente, come ho annunciato a principio, all’origine prossima, lasciando intatta l’altra remota, che non mi appartiene.

 

[ix] De transitu in Italiam Gallorum (scrive Livio al l. c.) haec accepimus. Prisco Tarquinio Romae regnante ... Bellovesus ... Bituriges, Arvernos, Senones, Aeduos, Ambarros, Carnutes, Aulercos excivit ... per Taurinos saltusque invios Alpes (altri leggano diversamente. V. il Weissenborn nelle note critiche a questo luogo) transcenderunt, fusisque acie Tuscis haud procul Ticino flumine, cum in quo consederant, agrum Insubrium appellari audissent, cognomine Insubribus pago Aeduorum, ibi omen sequentes loci condidere urbem, Mediolanium appellarunt.

 

[x] Livio, V. 35. Alia subinde manus Cenomanorum, Elitovio duce, vestigia priorum secuta, eodem saltu, favente Belloveso, cum transcendissent Alpes, ubi nunc Brixia ac Verona urbe sunt – locos tenuere Libui – considunt. Post hos Salluvii prope antiquam gentem Levos Ligures, incolentes circa Ticinum amnem: Peninum deinde Boii Lingonesque transgressi, cum iam inter Padum atque Alpes omnia tenerentur, Pado ratibus traiecto, non Etruscos modo, sed etiam Umbros agro pellunt: intra Appenninum tamen sese tenuere.

 

[xi] Su queste iscrizioni si vegga il Faretti nel Corpus Inscriptionum Italicarum, Augustae Taurinorum, a. 1867, in 4.° p. III.

 

[xii] Illustrazione di una tomba Gallo-Italica scoperta a Sesto Calende sul Ticino, nelle Memorie dell’Istituto Lombardo, Milano, 1867, Vol. X; primo della terza serie.

 

[xiii] V. Giovanni Flecchia, Di una iscrizione celtica trovata nel Novarese, pubblicata nella Rivista Contemporanea Nazionale Italiana, Torino, 1864, Vol. XXXVIII, p. 231-257, e il Faretti, l. c. p. VI.

 

A Cura di:
   [Riccardo Papini]

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Carlo Alessandro Pisoni (Luino, 1962 - Varese, 2021). Seguendo le orme del padre Pier Giacomo, dal 1991 al 2017 è stato conservatore, per gentile concessione dei principi Borromeo, dell'Archivio Borromeo dell'Isola Bella. Appassionato studioso e ricercatore, ha sempre voluto mettere a disposizione degli altri conoscenze e scoperte, togliendo la polvere dai fatti che riguardano Lago Maggiore e dintorni; insieme a studiosi e amici, ha riportato alla luce tradizioni, eventi e personaggi passati dal lago, condividendoli con la sua gente.

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